In queste settimane di ferie sarà capitato un po' a tutti, dalla val di Non a Capo Vaticano, di incappare in qualche sagra. Salvo eccezioni, che siamo pronti a segnalare una per una su vostra indicazione,
nella gran parte dei casi la cultura, la tipicità e la genuinità saranno sicuramente state le ultime caratteristiche di queste feste a puro scopo di lucro. Se escludiamo quelle per il patrono del paese, o legate a qualche prodotto veramente tipico, il leit motiv di queste 'sagre” sarà stato la presenza di banchi di salamelle, di formaggi sudaticci, di dolcetti o patatine. Il tutto con grandi tensostrutture per mangiare serviti da personale in nero e senza alcun rispetto delle minime norme igienico-sanitarie.
E poiché nella stragrande maggioranza dei casi tali 'sagre” sono organizzate dalle Pro loco (enti che dipendono dal Comune e quindi dalla politica) c'è da stare certi che, pur a fronte di eventuali irregolarità, di contravvenzioni dei vigili annonari ne saranno state fatte ben poche. Mentre magari ben diversa solerzia la si dimostra se un ristorante del paese, vista anche la calura opprimente di questa estate, ha occupato per 10 centimetri più del dovuto il suolo pubblico.
Quando parliamo di indifferenza della politica in genere rispetto ai problemi veri del turismo, dell'ospitalità e della sicurezza alimentare ci riferiamo da tempo proprio alla questione sagre, bubbone ormai insopportabile di un andazzo lassista e di malgoverno. E, attenzione, qui non è questione di colore politico, visto che le stupidaggini le fanno con la stessa facilità sia le amministrazioni di destra che quelle di sinistra.
Un'indifferenza che sfiora davvero la provocazione se si pensa che, salvo lodevoli casi (vere mosche bianche) non c'è amministrazione locale che abbia preso sul serio il
protocollo d'intesa tra la Fipe e l'associazione delle Pro loco per cercare di dare una regolata a un'attività come quella delle sagre che, se ben gestite, potrebbero essere davvero un'occasione straordinaria per valorizzare il territorio, la filiera agroalimentare di qualità e il turismo. Il tutto in un intreccio virtuoso fra cultura e ristorazione del posto, che dovrebbero costituire i pilastri portanti dell'offerta da collegare alle sagre autentiche.
E invece, fra sagre tarocche o usurpazione di nomi (pensiamo a quella di
una manifestazione di una singola azienda in Valtellina che, senza almeno il patrocinio del Consorzio di tutela, ha chiamato la sua due giorni di autopromozione 'Sagra della bresaola”), la festa del cattivo gusto e del mancato rispetto di ogni regola minima è proseguito come se nulla fosse successo. E per rimediare ai guasti di immagine di questi appuntamenti spesso all'insegna della truffa e dell'imbroglio ci vorrebbero ben altro che gli spot promozionali del turismo italiano con speaker il presidente del Consiglio.
I politici devono avere il coraggio di dire basta a un andazzo che sta rovinando la reputazione di prodotti e località e regolamentare in modo serio iniziative realmente promozionali e meritevoli di chiamarsi sagra. Distinguendo le altre iniziative che, come feste private, possono essere liberamente fatte, ma non devono usufruire di agevolazioni o sostegni economici pubblici, né devono essere effettuate in dispregio delle più elementari regole igienico-sanitarie.
Se poi i Coldiretti che ci hanno dimostrato quanta schifezza alimentare entra dalle ex frontiere decideranno di scoperchiare anche i pentoloni delle sagre... saremo lieti di accompagnarli nel girone degli orrori. Ora però la palla è più che mai nelle mani delle Regioni e dei ministri del Turismo, delle Politiche agricole, della Salute dello Sviluppo economico. Speriamo...
Alberto Lupini
alberto.lupini@italiaatavola.netArticoli correlati:
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