Alla fine dell'estate si scatena l'orgia di tavolate, pseudo feste popolari, sagre tarocche. Non si salva nessun angolo d'Italia: dai luoghi di villeggiatura, dove ci sono ancora turisti, alle mete dei week end, alle città e paesi dove la gente è rientrata ma vuole sentirsi ancora un po' in vacanza. I media nazionali 'bastonano” il fenomeno selvaggio delle pseudo-feste e delle pseudo-sagre. Di chi approfitta della domanda di convivialità, socializzazione, voglia di stare all'aperto con le tavolate ma anche con iniziative biecamente speculative o comunque destinate solo a 'far cassa”. Riportiamo da Ruralpini.
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è andata già duro Felicita Pistilli nel servizio andato in onda nel Tg1 delle 20 del 21 dal titolo "La pazza estate delle sagre" (link al video del servizio). La giornalista ha fatto riferimento nel commento al ''clima da strapaese che celebra qualunque cosa e ogni occasione è buona per abbuffate sottocosto". Abbuffate sottocosto che non fanno bene alla salute e che sono spesso una occasione di vera e propria 'diseducazione alimentare' . Ma che fanno malissimo all'economia del turismo, alla ristorazione. E fanno male all'immagine delle sagre autentiche, un vero e proprio patrimonio culturale, turistico, gastronomico che rischia di essere confuso, screditato. Quando, invece, è una risorsa preziosa.
Nel servizio si fa un po' di confusione mettendo insieme le manifestazioni comunque legate al cibo con l'elezione di 'miss chirurgia estetica'. L'immagine degli eventi popolar-gastronomici non ne esce in ogni caso molto bene.
Contributi a pioggia e sagre... del fungo di importazione
Il giorno prima del servizio del Tg1 (strana casualità) aveva "sparato" Il Giornale con un articolo in prima pagina (link all'articolo). Il Giornale riferiva per esempio che alla sagra del fungo laziale si mangiano funghi ... sloveni . In realtà niente di nuovo. Analoghe considerazioni - tanto per fare un esempio - valgono per la sagra della lumaca di Borgo San Dalmazzo e per la maggior parte delle numerose Sagre della lumaca del Piemonte e di tutte o quasi le regioni italiane dove le lumache "locali" arrivano dall'Est. Le (pseudo)sagre sono diventate delle "macchine" che divorano sé stesse. Gli organizzatori si giustificano: «Non possiamo utlizzare prodotto locale, arriva troppa gente».
In realtà si glissa sul fatto che il prodotto estero è quasi sempre acquistato a prezzo stracciato (non approfondiamo poi le condizioni della "catena del freddo", ecc.). Francesco Cremonesi, l'articolosta del Giornale, con tante sagre orripilanti in circolazione se la prende con quella della patata di Oreno (in Brianza) e si scandalizza per il contributo di 10mila euro versato dal comune. Siamo d'accordo non lui che questo contributo rappresenta un "biglietto obbligatorio" che gli abitanti del comune sono costretti, volenti o nolenti, a pagare ma la sagra in questione non è certo delle peggiori. Ha il merito, scusate se è poco, di rilanciare la coltivazione della patata in Brianza; una coltivazione che vantava solide tradizioni... e pazienza se la 'patata di Oreno' è una cultivar olandese.
Un po' in tutta Italia ma con particolare forza a Brescia e a Bergamo (con iniziative riprese e sostenute dal consorzio Cuochi di Lombardia) i ristoratori stanno alzando la testa e si ribellano all'inflazione delle tavolate in piazza a go go, delle pseudo "feste popolari". Si ribellano alla reiterazione di eventi che avrebbero un senso se occasionali, una tantum, ma che ne assumono un altro quando ripetuti ennesime volte durante l'anno.
Si tratta di niziative intraprese spesso da organizzatori senza scrupoli che non hanno alcun scopo se non quello della speculazione. Un 'affare' che può contare sulla dabbenaggine di amministratori locali pronti a concedere non solo spazi pubblici (alle tariffe irrisorie generalmente) ma anche finanziamenti. Va sottolineato con forza che i profitti di queste iniziative sono ottenuti grazie ad un abbattimento di costi che non comprende solo la concessione di spazi pubblici e di supporti comunicativi ma anche dalla non osservazza di norme e regolamenti in materia di igiene, sicurezza e condizioni di lavoro. L'inflazione di questi eventi si trasforma in un'offerta di servizi di ristorazione sottocosto che condanna i pubblici esercizi a vedere i tavoli vuoti nel pieno della stagione. Un danno che va considerato alla luce delle spese fisse e dei costi legati al rispetto le delle normative sul lavoro, all'Haccp, ecc.)
A parte da iniziative di improvvisati furbi 'imprenditori' vi sono quelle di commercianti o produttori di generi alimentari che si inventano un canale di vendita diretta attraverso improbabili "feste" senza altro contenuto che il consumo di taluni prodotti (spesso nemmeno artigianali). Vi sono poi "sagre" che sono fast food camuffati che servono solo per autofinanziamento di associazioni. Il ricavo netto dipende dall'uso di materia prima scadente. Se nelle sagre si usassero materie prime di qualità del territorio, artigianali la sagra va in pari.
Si è perso di vista in molti "eventi" il significato della sagra
Ma a cosa deve servire la sagra? Dovrebbe servire a ricreare cultura locale, a creare socializzazione sulla base della riscoperta di valori e gusti si condivisi, a ritrovare i sapori genuini, non a far cassa. Bisognerebbe distinguere tra sagra autentica e pseudo sagra chiedendo alle amministrazioni che le autorizzano di applicare un codice di qualità. Quando la sagra risponde alla sua funzione originale (attualizzare antichi riti alimentari comunitari promuovendo presso residenti e turisti la cultura gastronomica del territorio) la ristorazione non solo non subisce concorrenza sleale ma può collaborare e partecipare. Detto questo invito i ristoratori a non farne solo una questione di concorrenza e a limitarsi a chiedere l'applicazione delle regole amministrative ma a farsi promotori attivi delle autentiche sagre. Esse possono promuovere l'interesse più generale del territorio, creare nuove forme di collaborazione orizzontale tra attori delle filiere con ricadute positive per il settore agricolo (in un'ottica di sviluppo rurale) ma anche per tutto il comparto artigianale e turistico.
Possono essere definiti alcuni requisiti per la Sagra tradizionale autentica?
La sagra tradizionale rappresenta un evento con finalità plurime mai riconducibile a sole o prevalenti finalità commerciali, promozionali, ricreative, di autofinanziamento delle associazioni promotrici ed organizzatrici (per quanto nobili siano le cause che esse perseguano) e di raccolta di fondi per specifiche finalità (per quanto encomiabili esse siano). Esclusa sempre e comunque la finalità speculativa e la concorrenza sleale ai danni degli esercizi pubblici le altre finalità, caratterizzate da assenza di scopo di lucro, possono essere presenti a condizione che risultino subordinate a quelle che caratterizzano la Sagra tradizionale e non pregiudichino alcuni requisiti di qualità.
Il cibo al centro (ma un cibo 'culturale', territorializzato, artigianale)
Una Sagra tradizionale di qualità ha per oggetto un prodotto agroalimentare e/o delle preparazioni alimentari e/o di luoghi specifici e caratteristici della loro produzione e consumo che esprimono emblematicamente l'identità gastronomica e più in generale culturale del territorio dal momento che tali prodotti/preparazioni connotano storicamente i rapporti sociali, le relazioni economiche (all'interno del territorio e nei suoi rapporti con l'esterno), lo stesso paesaggio. La distribuzione di prodotti/preparazioni alimentari nell'ambito della Sagra è elemento centrale della stessa (se non è presente siamo di fronte a un evento culturale, sportivo ecc. ma non ad un evento gastronomico quale la Sagra è, sia pure con tutte le sue valenze culturali, sociali, turistiche che la qualificano). Pertanto essa non può e in alcun modo assumere i contorni del ‘fast food di piazza' anche nella versione della simpatica tavolata di vicinato e contrada. Per non scivolare in un catering a basso costo (o ad alto ricavo per gli organizzatori) ma anche nell'evento di generica convivialità e untrattenimento l'offerta di prodotti/piatti in piazza deve essere qualificata, specifica e limitata.
Il tema. La Sagra non può avere per tema un prodotto alimentare industriale di una o più aziende né un alimento/preparazione diffusa a livello internazionale, nazionale, interregionale. Non può esserci la Sagra della Nutella, della Bresaola Valtellina IGP, ma nemmeno quella della pastasciutta, della polenta, del risotto, della pizza ecc. Tema della Sagra può essere una determinata materia prima prodotta localmente o delle preparazioni che valorizzino ingredienti né ricette tradizionali. L'aspetto importante è che vi sia un legame con la cultura e l'economia territoriali. Un piatto ‘ricostruito' senza materie prime ottenute in ambito territoriale non può essere nello spirito di una Sagra autentica.
Bevande e servizio. Deve, innanzitutto, avere riferimento con i temi e i contenuti della Sagra. Anche nella scelta delle bevande (quando non risultino esse stesse collegate al tema della Sagra) e delle materie prime ‘accessorie' dovranno valere criteri di territorialità, artigianalità, qualità. Escludendo prodotti industriali, congelati, precotti ecc. Non essendo un catering non si può prevedere di offrire in alternativa ai piatti ‘sul tema' una gamma di piatti convenzionali (con la possibile eccezione di cibi e bevande più consoni ai più piccoli). Vanno evitate le distribuzioni di vino o birra (industriale) alla spina che degradano le Sagre a raduni di etilisti. Il vino sfuso (possibilmente in contenitori tradizionali) deve essere strettamente locale, al limite regionale, e di una qualità tale da non rappresentare un pessimo "biglietto da visita".
Le code e i vassoi della mensa. Sempre dal principio che la Sagra finanzia sé stessa ed è un volano di iniziative economiche e culturali con carattere di continuatività discendono altri principi finalizzati ad una complessiva coerenza. Dal momento che obiettivo della Sagra non è quello di servire un gran numero di pasti ai fini dell'implementazione del fatturato e del profitto vanno evitate le soluzioni che trasformano la Sagra in una deprimente ‘mensa all'aperto' con lunghe file di attesa con il vassoio di plastica in mano multiscomparto. Il sistema di ‘buoni' deve minimizzare i tempi di attesa e semplificare le ordinazioni (se non c'è un menù ma solo un piatto o due tutto è più rapido). Meglio il servizio al tavolo dove possibile. Spesso più razionale e comunque più consono ad una atmosfera conviviale (la coda riporta alla condizione di individualismo e di massificazione della vita ‘moderna').
Valori ecologici. La Sagra non può non farsi carico di istanze di rispetto non solo per la tradizione e la cultura locale ma anche per l'ambiente. Vanno evitate per quanto possibile le stoviglie e i bicchieri di plastica (che finisce bruciata se va bene nei ‘termovalorizzatori' o, alla peggio sul posto con grave inquinamento) sostituendole con la più facilmente riciclabile carta o, meglio ancora, con materiali tradizionali (come il legno che ha il vantaggio di essere infrangibile anche se richiede accorgimenti per la pulizia). L'idea dell'usa e getta deve essere gradualmente sostituita nella Sagra di qualità da quella del riuso (che certo implica maggiore impegno) e/o del ‘porta a casa' laddove il calice, la coppa, la stoviglia – recante riferimenti alla Sagra – souvenir gradito specie se in relazione a tradizioni di produzione artigianali locali (legno, terracotta smaltata o meno). La scelta può anche non essere imposta e il partecipante alla Sagra può anche decidere se richiedere il gadget o meno nel ‘pacchetto'.
Decentralizzazione. Il rischio della trasformazione della Sagra in un catering all'aperto è tendenzialmente evitato se la distribuzione del prodotto/piatti risulta decentralizzata. Oltre al coinvolgimento dei locali ed, eventualmente, di famiglie private, (specie nelle località più piccole) la decentralizzazione può essere conseguita prevedendo delle ‘tappe gastronomiche' legate a luoghi significativi del contesto urbano specie se collegati a tradizioni di commercio/trasformazione/vendita di alimenti. La decentralizzazione è anche il mezzo, oltre che per far conoscere l'insieme del tessuto urbano di una località e di coinvolgimento di residenti e attività economiche locali, anche per evitare le lunghe ed avvilenti code di cui sopra che ‘spengono' lo spirito della Sagra. Ovviamente il problema non si pone per le Sagre che sono di per sé decentralizzate sul territorio coinvolgendo i luoghi produttivi tradizionali.
Aspetti ricreativi e culturali. Posto che la Sagra ha al centro il cibo (per quanto fortemente impregnato di cultura) non è possibile valutare la qualità complessiva della Sagra se non si considerano anche le iniziative ricreative e culturali che si svolgono nell'ambito della Sagra. Posto che le iniziative con pure finalità ricreativa e di generica ‘socializzazione' non possono e non devono essere confuse con le Sagre resta la difficoltà di identificare forme di espressione ‘popolari' coerenti con la Sagra per la nota difficoltà di confondere ‘popolare' con tradizioni ormai svuotate o, al contrario, con espressioni ‘di massa'. La differenza tra una Sagra e altri eventi consiste nel fatto che nella Sagra le iniziative culturali, artistiche, gli spettacoli, le mostre, i laboratori sono corollari del tema gastronomico centrale e sono finalizzate ad illustrarlo e a conferirgli spessore. In altre manifestazioni: Feste popolari, Feste di partito, Fiere ecc. vi è spesso un aspetto gastronomico degustazioni, ristorazione in piazza ma è secondario quando non finalizzato all'esigenza di fornire un servizio ad un grande numero di partecipanti alle cui esigenze di somministrazione di pasti non sono in grado di soddisfare i pubblici esercizi. Non fa molta differenza se i pasti vengono somministrati in un contesto che richiama la sagra. L'attenzione della gente è rivolta ad altro.
Il contenuto culturale garantisce lo stimolo di iniziativa economica non effimera
La Sagra tradizionale è espressione di esigenze culturali di una comunità territoriale, finalizzata a riannodare i fili di una memoria e di una esperienza condivisa, ad esprimere verso l'esterno la propria identità sia per farsi riconoscere e distinguere sia per rinnovare elementi di coesione e solidarietà interni. Ma è proprio questa dimensione 'autentica' a rappresentare un elemento di interesse turistico. Le improvvisazioni e le invenzioni troppo smaccate 'per turisti' si rivelano effimere. Le esigenze culturali sono il presupposto dell'autenticità della Sagra ma, al tempo stesso garantiscono anche il carattere della Sagra quale motore di iniziative economiche. Forniscono gli stimoli, il collante.
Sagra quale elemento della filiera del cibo territoriale. Queste iniziative economiche sono concretizzabili nella creazione/rafforzamento di filiere, schemi, patti locali in grado di raccordare gli attori della produzione agroalimentare, del turismo, dell'amministrazione, della cultura. La Sagra in questa prospettiva non è qualcosa di a sé stante ma si inserisce in un complesso di altre iniziative permanenti, occasionali, ricorrenti: le Strade del vino e dei prodotti, le rassegne gastronomiche, le passeggiate gastronomiche, le cantine, alpeggi, caseifici 'aperti'. Valorizzando un patrimonio comune non appropriabile in modo esclusivo da determinate aziende, categorie, la Sagra pone i presupposti per sviluppare la consapevolezza che questo patrimonio può essere implementato in una logica di collaborazione e solidarietà, sia orizzontale (tra operatori della stessa categoria: contadini, artigiani della trasformazione agroalimentare, ristoratori ecc.). E' motore di fiducia reciproca (sempre che la Sagra promuovendo prodotti, attività agroalimentari, turistiche conservi presupposti super partes).
Sagra come volano di una nuova economia. La specificazione di questi e altri requisiti di qualità è necessaria per escludere tutte le iniziative di speculazione e autofinanziamento. La Sagra autentica finanzia sé stessa, offre l'opportunità a residenti e ai turisti di conoscere e degustare specialità che difficilmente possono essere consumate in altre località o in altri periodi dell'anno (promuovendo però prodotti e preparazioni che sul territorio sono disponibili con continuità o che, e questo è un aspetto particolarmente qualificante, rimettendo in moto filiere tradizionali sulle basi di nuove condizioni di economicità legate a : multi funzionalismo, attività di servizio complementari, effetto ‘trascinamento', effetti di moltiplicatore nell'economia locale). Attraverso la Sagra in particolare possono essere fatti conoscere prodotti che sono ‘usciti dal mercato', la cui produzione è ostacolata dal carattere stagionale, dalla limitatezza dell'offerta, da vincoli di tipo igienistico ma che attraverso una domanda e l'organizzazione di opportune filiere locali possono ‘tornare a nuova vita' connotando l'offerta locale, e migliorando l'identificazione e riconoscibilità del territorio, quindi la sua attrattività e il suo ‘brand'.
Alcuni requisiti specifici
Il Comitato/Associazione. Uno dei requisiti della Sagra di qualità è quindi costituito dalla presenza nel Comitato promotore/organizzatore di una pluralità di soggetti che, sul terreno della preparazione, svolgimento, comunicazione sperimentino formule di collaborazione in grado di consolidarsi in rapporti permanenti. La presenza di un Comitato o, meglio di un'associazione che ha come finalità l'organizzazione della Sagra tende ad escludere la strumentalizzazione da parte di soggetti miranti a scopi speculativi o comunque discorsivi delle finalità della Sagra.
Un Comitato che opera con continuità non solo per la preparazione delle dizione successiva ma anche per ‘raccogliere i frutti' della Sagra e per sviluppare eventualmente iniziative collaterali (per esempio legate a ‘strade dei sapori' o a ‘aziende aperte', convivi) nel corso di tutto l'anno. L'adesione del Comitato alla ‘Carta di qualità delle Sagre', l'impegno a rispettarla e a partecipare attivamente al Coordinamento (provinciale, regionale?) appare come un requisito indispensabile per garantire che la Sagra contribuisca alla buona immagine complessiva del sistema-Sagre.
‘Anzianità'? Requisito della Sagra di qualità non può essere la sola ‘anzianità di servizio'. Vi sono pseudo sagre che possono vantare numerose edizioni. Una distinzione può essere operata comunque tra le aspiranti Sagre di qualità che possono documentare una tradizione ultraventennale e quelle nate da pochi anni o anche che si affacciano per la prima volta al mondo delle Sagre. Stabilito un numero minimo di anni per il riconoscimento quale Sagra tradizionale di qualità anche queste ‘nuove sagre' se conformi ai criteri di qualità stabiliti dovrebbero ottenere il ‘marchio'. La ‘tradizionalità' infatti non va intesa solo e principalmente in termini di numero di edizioni ma sulla base dei contenuti, delle attività previste, della natura dei prodotti e delle preparazioni alimentari che ne costituiscono il tema, con particolare riguardo alla loro tradizionalità e al legame tra questi prodotti, l'organizzazione e la cultura del territorio con particolare riguardo alle forme di socialità legate alla produzione e consumo di tali prodotti/preparazioni.
In ogni caso anche la ripetizione anno dopo anno di un evento assume, indipendentemente dai contenuti, i caratteri di una ‘tradizionale'; andrebbero quindi distinti i criteri di riconoscimento degli eventi che possono vantare una pluriventennale continuità (tenendo presente che non tutti gli eventi si svolgono con cadenza annuale) da quelli recenti e che si propongono di nascere ex-novo nella prospettiva (non certo da scoraggiare) di entrare nel circuito delle Sagre tradizionali di qualità.
Le tipologie di Sagra , le location, il rapporto organico con l'offerta gastronomica locale
Una Sagra può svolgersi in un contesto urbanizzato, in piccoli centri o in ambito rurale (presso i luoghi di produzione o località prive di pubblici esercizi). Può anche prevedere entrambe le modalità: eventi ‘centralizzati' in un borgo e, parallelamente, in siti dislocati presso i luoghi di produzione. Nel contesto urbanizzato la Sagra richiama tradizioni di preparazione e consumo dei prodotti affluenti dalle campagne e strutture di trasformazione del territorio. Oltre alla piazza (o alle piazze) luogo dello scambio, dell'incontro e delle rappresentazioni collettive, la Sagra non può non coinvolgere altri luoghi deputati storicamente e nel presente alla preparazione e al consumo alimentare: gli esercizi pubblici, i laboratori alimentari artigiani, le rivendite specializzate di prodotti alimentari, ma anche luoghi privati (es. i cortili di abitazioni).
La partecipazione dei locali di qualità. Il coinvolgimento degli operatori della ristorazione (nelle sue sfaccettature compatibili con il carattere tradizionale della Sagra, quindi esclusi fast food, ma anche locali con esclusiva offerta di cucina nazionale o internazionale) è condizione perché la Sagra rappresenti un evento capace di promuovere stabilmente il sistema dell'offerta gastronomica locale ‘tipica'. La Sagra tradizionale di qualità che si svolge in contesti urbanizzati si articola quindi in eventi ‘di strada' ma anche in eventi presso osterie, ristoranti, trattorie, enoteche. Da parte degli esercizi pubblici la partecipazione alla Sagra non potrà essere solo formale ma deve tradursi in offerte e iniziative legate all'evento: menù predisposti per l'occasione ma anche degustazioni, incontri con i produttori agricoli, intrattenimenti culturali, il tutto rompendo la routine. D'altra parte la partecipazione dei locali alla Sagra può anche esprimersi nella presenza in piazza degli chef dei ristoranti che partecipano alla Sagra stabilendo un collegamento il più stretto possibile tra la ‘piazza' e i locali. Non solo per parlare di cibo ma anche per prepararlo direttamente sotto gli occhi dei partecipanti.
La partecipazione degli chef. Nel caso di Sagre che si svolgono in contesto rurale (su un alpeggio montano ma anche su una spiaggia o un porticciolo con i pescatori) la partecipazione degli operatori della filiera è altrettanto qualificante. In questo caso saranno gli chef (meglio se essi stessi imprenditori di locali 'storici') a spostarsi sul ‘teatro'/'teatri' della Sagra collaborando – sulla base delle possibilità logistiche e di attrezzature – alla preparazione di un piatto in grado di valorizzare la materia prima, i prodotti ottenuti all'origine , ma anche la tradizioni gastronomiche locali e il sistema di ristorazione di qualità locale. E qui si apre lo spazio per una dialettica tra tradizione e creatività che deve contribuire a trasmettere la percezione che la ‘tradizione' non è folklore fossilizzato ma una continua rielaborazione e selezione di elementi ereditati dal passato in funzione del presente e del futuro. Una dialettica che può esprimersi nella compresenza e ‘dialogo' tra lo chef ‘stellato' e della ‘massaia rurale' depositaria di tradizioni spesso solo orali di cultura gastronomica.
Valutazione della qualità di una sagra
Gli elementi di qualità indicati vanno considerati nel contesto. Vi sono realtà dove le espressioni tradizionali sono vive, altre dove sono solo di interesse storico. Pare di poter escludere, però, che la Sagra di qualità sia compatibile con il karaoke o i balli sudamericani. Quanto alle iniziative culturali non vanno confuse quelle che raccolgono il favore dell'élite con quelle ‘di qualità'. La condizione migliore si realizza quando espressioni ‘colte' si incontrano con l'interesse dei residenti e dei turisti per l'approfondimento della conoscenza storica, letteraria, artistica, monumentale, folk lorica dei luoghi tenendo presente l'orientamento che emerge attualmente verso esperienze interattive e partecipate (percorsi guidati, rievocazioni, laboratori) rispetto a iniziative di fruizione passiva (mostre, conferenza).
Incrociare i parametri. Una valutazione coerente dovrà tenere conto di una griglia in cui da una parte entrano i requisiti di qualità (secondo una check list che analizzi i vari aspetti in modo analitico) e dall'altra gli elementi di contesto (esperienze pregresse, attori locali, filiere). Tra gli elementi di contesto un elemento fondamentale è dato dal grado di impatto sulla struttura locale della ristorazione. Un elemento che dovrà tenere conto di vari parametri: tipo di offerta gastronomica presso la 'sagra' (qualità, varietà, prezzi), numero presumibile di pasti serviti, rapporto tra offerta e entità della presenza in zona di publici esercizi (valutata in base ai coperti e alla distanza dall' 'epicentro' della 'sagra' in termini di percorsi a piedi - nei contesti urbani - o in auto).
Un duplice piano di validazione. Considerato che la natura delle Sagre è molto differenziata una volta stabiliti dei principi comuni pare opportuno stabilire requisiti specifici per ogni categoria. La procedura di riconoscimento del ‘marchio di qualità' potrebbe poi prevedere due piani. Una Commissione centrale, composta di rappresentanti di categoria, studiosi di etnografia, tradizioni, sistemi agroalimentari, storia locale ed integrata di rappresentanti dei coordinamenti regionali dei comitati organizzatori delle Sagre tradizionali di qualità e una Commissione locale (composta di amministratori, rappresentanti di categoria, associazioni culturali, consorzi turistici operante in ambito abbastanza vasto da escludere distorsioni campanilistiche).
Michele Corti
www.ruralpini.it
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