Ora non ci sono più alibi per nessuno. Si può discutere quanto si vuole dei criteri di valutazione dell'amministrazione provinciale di Arezzo, dell'indagine regionale della Fipe di Toscana, di quella provinciale della Confesercenti di Brescia. Sta di fatto che, da qualunque parte la si voglia guardare, la questione delle sagre dimostra una sola verità: la stragrande maggioranza delle troppe feste in piazza che si fanno in Italia - con una media di circa due su tre - sono un imbroglio per i consumatori (i prodotti proposti non sono tipici e nella gran parte dei casi nemmeno controllati o affidabili), sono un grave danno per l'erario (che viene frodato di contributi previdenziali e tasse) e sono una concorrenza sleale per i ristoratori e i negozianti del luogo, soggetti a controlli e normative che non valgono per chi si avvale della maschera della sagra.
Certo non tutte le sagre sono così. Ci sono quelle che assolvono in maniera esemplare al compito di promuovere storia e tradizioni, anche enogastronomiche. Ce ne sono di quelle che vedono impegnati tutto l'anno volontari (autentici) per programmare un evento che valorizza un piatto e una cultura del territorio di cui le istituzioni quasi si disinteressano. Fra le tante citiamo quella della Panissa (un piatto a base di riso, fagioli e verdure) che a Vercelli ha spinto alcuni locali a proporla nel menu tutto l'anno. E tutta l'Italia per fortuna è piena di eventi seri e capaci di dare una spinta importante anche ai flussi turistici.
Ma proprio perché ci sono delle sagre oneste queste vanno tutelate e messe nella condizione, semmai, di richiamare più pubblico grazie ad un maggiore sostegno delle istituzioni e con una reale collaborazione di tutti, a partire dagli esercizi pubblici e dai produttori del territorio. Per tutte le altre 'feste” è invece tempo che il Governo (attraverso i ministri del Turismo e delle Politiche agricole) fissi delle regole quadro che servano alle Regioni per sfoltire e selezionare le diverse iniziative. Sagre gestite da società di catering sono un vero insulto al buon senso, nonché una truffa che pesa sulle tasche dei cittadini perché, con la scusa del volontariato e dei luoghi pubblici, si evadono troppi tributi e non si garantisce alcuna sicurezza igienico-sanitaria.
Certo le Pro loco hanno un bel dire a raccontare la favoletta della 'socializzazione” o del menu a prezzi concorrenziali. Evitando tasse e costi vari anche i ristoratori potrebbero proporre piatti a costi più contenuti. Eppure basterebbe che gli amministratori locali (invece di inseguire le varie polisportive o associazioni bizzarre che in molti casi costituiscono il collateralismo dei partiti della Seconda Repubblica …) si accordassero con i ristoratori del Comune (con chi ci sta, ovviamente) per organizzare delle serate ad hoc per i vari gruppi, magari con menu e prodotti del territorio. Otterrebbero oltretutto tre vantaggi insieme: farebbero cultura vera anche a tavola e avrebbero il consenso dei commercianti e quello dei consumatori-elettori che mangerebbero in locali a norma e non in capannoni o sotto tensostrutture senza nemmeno i servizi igienici adeguati.
Qualcuno da tempo ci dice che siamo illusi e che stiano rischiando un conflitto coi politici. In realtà siamo convinti di essere realisti e che alla fine (magari salvando le feste di partito che sono tutta un'altra storia) anche i politici si accorgeranno dei danni causati dalla loro superficialità e la 'guerra della salamina” avrà avuto ragione di essere stata combattuta. Ma perché questo succeda serve che i ristoratori e i produttori si facciano sentire sul serio.
Alberto Lupini
alberto.lupini@italiaatavola.net
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