Crisi, false recensioni su TripAdvisor, e, non ultime, le sagre tarocche: è un'estate difficile per i ristoratori. Italia a Tavola e Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi) si stanno battendo da anni in aiuto dei ristoratori perché proprio recensioni e ricatti sul web e sagre non autentiche minacciano ogni giorno gravemente il Made in Italy. Dopo la mobilitazione di alcuni esercenti del Mugello e quella del Comune di Grosseto che nell'aprile scorso si sono mosse nella direzione di una regolamentazione delle sagre, e dopo il 'Manifesto delle sagre autentiche” firmato da Fipe-Confcommercio e dall'Unione delle Pro loco, con il sostegno di Italia a Tavola, sono scese in campo anche Fipe-Confcommercio Imprese per l'Italia Valle d'Aosta e Ascom, che ancora una volta denunciano la maggiore libertà delle sagre e feste di piazza per le quali non sussistono le stesse regolamentazioni applicate ai ristoranti.
Le variegate e sempre meno 'autoctone” feste di paese che si susseguono dal nord al sud della Penisola, per gli esercenti somigliano a una vera e propria giungla senza alcuna regola in fatto di scontrini e ricevute. Un 'paradiso fiscale” che determina, stando alle associazioni di categoria, una concorrenza sleale che sottrarrebbe ai ristoratori, ancor più in tempi di crisi, incassi da capogiro. A lanciare la provocazione era stato Leopoldo Gerbore, presidente ristoratori Fipe-Confcommercio Imprese per l'Italia Valle d'Aosta e referente Fipe nazionale, che aveva espresso la preoccupazione dei ristoratori nei confronti delle sagre di paese, slegate dal territorio.
E a rincarare la dose ci pensa anche l'Ascom. Le sagre, spiega all'Adnkronos Giorgio Bove, presidente dell'associazione dei ristoranti Fepag Ascom Genova, «sono numerose, ogni settimana ne spunta una nuova, durano diversi giorni, fanno incassi che molti locali se li sognano, operando in condizioni diverse dalle nostre e senza controllo. Dove vanno tutti quei soldi? Non esistono scontrini e ricevute fiscali. Il fatto è che dietro alle sagre ci sono le Pro loco e dietro alle Pro loco ci sono i politici. Noi chiediamo chiarezza e il coinvolgimento dei ristoratori in queste iniziative».
«Chiederemo chiarezza e condizioni uguali per tutti - aggiunge Bove - non è giusto che ristoratori professionisti debbano fare fronte a obblighi normativi e fiscali a cui gli altri non sottostanno. In sagre e feste di partito lavorano volontari, alle sagre non si emettono scontrini e ricevute fiscali». «Ma la questione - aggiunge - non riguarda solo sagre e feste, anche tra i bar che offrono servizi di ristorazione non tutti sono in regola, non tutti osservano le norme sulla ristorazione a cui sarebbero tenuti». «Le sagre di paese sono importanti - afferma all'Adnkronos il presidente romano della Fipe, Nazareno Sacchi - non vogliamo abolirle ma comunque devono avere le stesse regole che abbiamo noi. C'è anche la possibilità di collaborare con loro, perché creano movimento, ma per diventare un bene collettivo e' necessario che ci sia la volontà».
La Valle d'Aosta fa storia a sé. Sono almeno 140 le sagre nella regione per un giro d'affari di gran lunga superiore al milione e mezzo di euro, e, a quanto denunciava i ristoratori Fipe, vengono in buona parte sottratti al settore della ristorazione stanziale. In particolare, i ristoratori lamentano una vera e propria concorrenza sleale da parte di queste manifestazioni. «Un sondaggio tra gli associati - spiega Fipe Valle d'Aosta - ha evidenziato che l'82% delle imprese ha dichiarato che nel triennio 2009-2011 ha subito una riduzione del fatturato media del 20%, mentre solo il 18% parla di una sostanziale stabilità».
Insomma, stando alle parole di Gerbore, «come nel resto d'Italia, anche in Valle d'Aosta le sagre proliferano in maniera sempre più indiscriminata e il legame con il territorio è sempre più debole». «Mi chiedo - aggiunge il presidente di Fipe Vda - quale legame abbiano con il territorio sagre come quella dell'asado Argentino, del pesce di mare, delle rane (non mi si dica che sono una peculiarità valdostana) e le numerose feste della birra ecc.».
L'usanza di organizzare sagre non autoctone sembra ormai una realtà consolidata nel nostro paese tanto che molte hanno superato le cinque edizioni e alcune sono arrivate a festeggiare perfino il decennale. E, in effetti, di sagre "fuori luogo" si trova copiosa letteratura. A cominciare da quella della paella, esportata da Valencia alla realtà reatina, in quel di Colle di Tora, e nel piacentino, a Bobbio. Ma c'è stato anche chi ha 'osato” esportare cannoli siciliani e arancini sotto le cime di Stelvio e Gavia, distribuendo le specialità sicule a Bormio, in provincia di Sondrio. Nell'entroterra ligure, precisamente a Casella, provincia di Genova, si mangiano all'interno della stessa festa sia lo stoccafisso alla ligure che il 'porceddu” sardo, in un vero e proprio scambio gastronomico. La polenta invece è di casa a Sermoneta, provincia di Latina, ma il motivo qui è storico-culturale: la zona è stata luogo di bonifica a inizio del secolo scorso e molte delle persone arrivate nell'agro pontino erano veneti e lombardi.
Articoli correlati:
Sagre tarocche: ministri tecnici, se ci siete, battete un colpo
Alle sagre un italiano su tre Ma attenzione a quelle tarocche
Grosseto pone un freno alle sagre Meno giorni e solo prodotti tipici
Più regole per le sagre Vittoria di Fipe e Italia a Tavola
A Montecitorio si vota sulle sagre Fipe: No alla concorrenza sleale
Ristorazione di qualità, qualcosa si muove...
Basta sagre tarocche Ora in Toscana si fa sul serio
Le sagre tarocche in Toscana Spina nel fianco della ristorazione
Feste di piazza in Toscana Un danno da 43 milioni di euro
Col silenzio del Governo è sempre sagra tarocca
False sagre, gli esercenti toscani portano i sindaci in tribunale
Sagre, a processo i Comuni Ricorso dei ristoratori toscani
Un'altra estate di sagre tarocche Politici troppo indifferenti
Manifesto delle sagre in Toscana Censite quelle autentiche