Per l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) l'obesità è ormai un'epidemia mondiale responsabile, insieme al sovrappeso, di oltre 2,6 milioni di morti l'anno. Oggi più di un miliardo di persone in tutto il mondo sono in sovrappeso e almeno 300 milioni sono obese. E il loro numero è destinato ad aumentare. Persino l'Organizzazione delle Nazioni unite si è pronunciata in favore dell'introduzione di tasse sul cosiddetto junk food (cibo spazzatura). Alcuni Paesi come Danimarca, Francia e Regno Unito hanno già deciso da tempo di aumentare il prezzo di cibi grassi e bibite zuccherate. In Italia 8 persone su 10 si dichiarano a favore di una tassa sul cibo spazzatura, mentre autorevoli enti come l'Inran (Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione) e UnionAlimentari-Confapi (associazione di imprenditori che tutela e promuove gli interessi economici e sociali delle piccole e medie industrie del settore agroalimentare italiano) si schierano contro tale forma di tassazione, perché finirebbe per aumentare la confusione sulle regole di una corretta alimentazione senza intervenire sul lato dell'educazione.
Ma che cosa rientra esattamente nella definizione di 'junk food”? E se non si interviene con una tassa, come è possibile allora arginare il problema della cattiva alimentazione e della crescente incidenza di sovrappeso e obesità? Per cercare di comprendere meglio la posizione di chi è contrario all'introduzione di una tassa sul cibo spazzatura, 'Italia a Tavola” ha intervistato il presidente di UnionAlimentari, Renato Bonaglia (nella foto a destra), che pone l'attenzione sul rischio che tale tassa possa danneggiare le produzioni tipiche del Made in Italy agroalimentare.
Recentemente il relatore speciale dell'Onu sul diritto all'alimentazione, Olivier De Schutter, ha suggerito una serie di misure che vanno dall'imposizione di una tassa sui prodotti con troppo sale, grassi saturi o zuccheri e sulle bibite zuccherate a un severo giro di vite contro la pubblicità per questo tipo di alimenti. Come si pone UnionAlimentari rispetto a queste ipotesi?
I dati allarmanti che rappresentano il costante incremento di problemi di salute legati a un approccio sbagliato all'alimentazione non possono non stimolare urgenti misure di contrasto. Se pensiamo, ad esempio, all'aumento del numero di bambini obesi in Italia possiamo comprendere come il fenomeno abbia ormai acquisito proporzioni allarmanti. Come premessa generale, tengo a sottolinearlo, UnionAlimentari è ben consapevole dell'urgenza di intervenire con misure realmente efficaci per contrastare il fenomeno. Ben venga quindi una discussione su questo tema. Anzi, auspichiamo che a livello nazionale si apra un tavolo di confronto al fine di individuare le soluzioni più adeguate.
L'autorevole presa di posizione di De Schutter ha il merito di porre all'attenzione di un organismo come l'Onu una problematica che sta assumendo, nei paesi industrializzati, le caratteristiche dell'emergenza. Gli strumenti indicati si pongono in linea con le leggi introdotte in Francia, Danimarca e Ungheria, Paesi che per primi hanno utilizzato lo strumento fiscale ipotizzando che questo possa essere una soluzione. Tuttavia, su questo tema emergono, secondo noi, alcune criticità che devono essere considerate. UnionAlimentari, non vuole aprioristicamente essere contro lo strumento fiscale, ma ritiene che sia quantomeno complesso individuare soluzioni fiscali che siano veramente efficaci nel contrastare la cattiva alimentazione e che sia assolutamente impossibile farlo con lo strumento del decreto legge essendo necessario un approfondimento multidisciplinare da applicare su un intero comparto produttivo. Lo strumento fiscale nei Paesi in cui è stato applicato sembra, nei fatti, dimostrarsi solo un ulteriore strumento per incrementare il gettito fiscale in un periodo di crisi economica, mascherando l'intervento con l'ipocrisia di aulici obiettivi salutistici nei confronti dei propri cittadini.
Quando il ministro della Salute ha avanzato l'ipotesi di tassare il cibo spazzatura (come è già accaduto in altri Paesi) UnionAlimentari ha avanzato delle perplessità sul merito dell'iniziativa. Non vi convince l'idea della tassa o non condividete che ci sia cibo spazzatura in circolazione?
Sull'ipotesi di tassazione abbiamo espresso le nostre perplessità, pur riconoscendo l'urgenza del problema, in quanto, come detto, lo strumento fiscale rischia di non essere efficace in relazione alle finalità per cui viene introdotto. Riteniamo che, prima di tutto, la difficoltà stia nell'individuare i giusti criteri per cui un alimento possa essere definito come 'cibo spazzatura”. Spesso, sbagliando, si pensa che un'eventuale tassa sui cibi spazzatura sia anche un modo indiretto per promuovere le eccellenze italiane, a discapito di cibi, magari di provenienza straniera, con minori qualità nutrizionali. Stabilire un criterio valido per definire in modo così negativo un cibo non è così semplice e, paradossalmente, rischia di colpire alcuni prodotti tipici della tradizione culinaria italiana.
La tassazione è già stata applicata in Paesi come Francia e Danimarca al fine di portare più liquidi nelle casse dello Stato e al contempo scoraggiare il consumo di cibi eccessivamente ricchi di zuccheri e grassi. L'Italia non rischia di restare indietro rispetto ai Paesi esteri?
Gli esempi di Francia e Danimarca possono aiutare a spiegare le nostre perplessità. In Francia hanno introdotto una tassa sulle bevande gassate che ha un'incidenza media per lattina di 2 centesimi di euro. Possiamo comprendere facilmente che tale balzello non ha alcun effetto deterrente nei confronti del cittadino. L'unico risultato lo si ha in termini di entrate per il tesoro francese. In Danimarca, invece, è stata introdotta la cosiddetta 'fat tax” che colpisce tutti gli alimenti che hanno una percentuale di grassi saturi maggiore al 2,3%. Per questi prodotti è prevista una tassa di 16 corone per ogni chilogrammo di grassi saturi. Se ipotizzassimo una trasposizione della normativa danese in Italia, molte delle specialità gastronomiche italiane, tra cui prodotti Dop e Igp, prodotti spesso di nicchia e non consumati in quantità tali da condizionare significativamente la dieta dei cittadini, rientrerebbero all'interno dell'elenco dei cibi tassati e molti anche in modo significativo con possibili effetti depressivi sui consumi. In altri casi esiste un rischio concreto che le imprese o le richieste dei clienti professionali delle stesse, per evitare la tassazione, portino a modificare la ricettazione dei prodotti composti a discapito della tradizione e non necessariamente in favore di una qualità nutrizionale migliore. Ad esempio, se pensiamo ai grassi saturi, la margarina vegetale ha un contenuto di grassi saturi significativamente inferiore al burro, 26,43% anziché 48,78%, e un apporto calorico analogo (760 kcal la margarina e 758 kcal il burro, dati estratti dal database dell'Inran), quindi abbiamo un surrogato che non riduce l'apporto calorico complessivo ma consente di ridurre un'eventuale tassazione e soprattutto, quel che è peggio è che i grassi idrogenati, tipici della margarina, non rappresentano sicuramente un passo avanti dal punto di vista nutrizionale.
Entriamo un po' nel dettaglio. Cosa può essere definito per lei 'junk food” (cibo spazzatura) in Italia, e perché alcuni prodotti, pure tassati all'estero (bevande con troppi zuccheri o merendine con troppi additivi o grassi saturi) potrebbero non rientrare in questa definizione?
Come esposto precedentemente, la difficoltà risiede nel fatto che non esiste un metodo univoco e generalmente riconosciuto per definire un cibo come spazzatura. Terrei comunque a precisare che in commercio non possono esistere 'merendine con troppi additivi”. A tal proposito esistono norme comunitarie già recepite, ed un recente Regolamento Comunitario che le sostituirà e diverrà direttamente applicabile in tutti paesi Ue. Queste norme disciplinano e definiscono l'uso degli additivi, anche dal punto di vista quantitativo e scaturiscono da anni di lavoro del gruppo di esperti sugli additivi dell'organismo più autorevole che l'Unione europea possiede, l'Efsa (European food safety autority). Qualsiasi prodotto che non rispetta le suddette norme dovrebbe quindi essere ritirato dal commercio e il responsabile commerciale sanzionato. Nutrizionisti di fama internazionale, come ad esempio Andrea Ghiselli dell'Inran, si sono espressi in modo chiaro sulla difficoltà di definire un junk-food. Vogliamo dire che un junk food è un alimento troppo ricco in grassi? Oppure in calorie? Oppure in zuccheri? O in sale? Ma allora la maggior parte delle nostre eccellenze (olio di oliva, parmigiano, prosciutto crudo, ecc.) sono junk food! Non mi sembra una strada corretta. Appare anche qui lampante il paradosso che non esiste qualcosa di 'junk” a priori, ma è piuttosto l'uso che si fa dei cibi ad essere spesso 'junk”.
Accantonando l'ipotesi di introdurre imposte su determinati cibi, quali sono le iniziative attraverso cui combattere il fenomeno della cattiva alimentazione, strettamente legata alla crescente incidenza dell'obesità nelle giovani generazioni?
Come UnionAlimentari siamo assolutamente disponibili a contribuire con le istituzioni e le varie categorie per individuare le politiche e le iniziative più adeguate per combattere il fenomeno della cattiva alimentazione. Numerose sono le iniziative che possono essere messe in campo, tuttavia è chiaro che in prima istanza è necessario attivare un serio programma di educazione alimentare all'interno della scuola dell'obbligo. Un programma di ampio respiro, che inizi fin dalla scuola dell'infanzia e che si concentri sulla corretta alimentazione abbinata a un sano stile di vita, riconoscendo all'educazione fisica uno spazio adeguato e un'equa parificazione alle altre materie, ritenute spesso più 'nobili”. Tutto ciò avrebbe forti ricadute positive in termini economici anche sul nostro Sistema sanitario nazionale, con evidenti risparmi per i cittadini. E l'entità di questi risparmi sarebbe forse maggiore degli introiti di una specifica tassa.
Nel caso in cui il Governo italiano decida di introdurre tasse sui 'cibi spazzatura”, quali potrebbero essere le reazioni da parte delle grandi multinazionali del food&beverage?
Come presidente di UnionAlimentari, se dovessi pensare agli effetti sull'industria, la mia prima preoccupazione ricadrebbe ovviamente sulle Pmi. Le multinazionali hanno spesso strategie molto diverse rispetto alle Pmi e un potere di lobbying molto forte, esercitato direttamente senza la necessità di essere rappresentati da associazioni di categoria. Se analizziamo cosa è successo in Francia, la The Coca Cola Company è passata alle minacce, paventando, secondo le cronache, anche di sospendere un investimento di 18 milioni di euro per uno sviluppo industriale previsto da tempo. Se si vogliono analizzare le possibili ricadute sul tessuto produttivo, noi siamo preoccupati, piuttosto, in relazione alle ripercussioni che un'eventuale tassa potrebbe avere sulle Pmi che da sempre competono grazie alla loro flessibilità e soprattutto per la qualità della propria produzione. Se pensiamo che una tassa pro-salute possa colpire solo le merendine da voi definite 'con troppi additivi” o - peggio - che colpire il 'junk food” significhi colpire i 'fast food”, siamo fuori strada.
Un'ultima considerazione. Presupponiamo, in linea del tutto teorica e ammettendo un'elasticità della domanda tutta da provare, che la 'fat tax” si dimostri utile a ridurre il consumo di cibi ricchi di grassi saturi. Facile pensare che le aziende, soprattutto quelle più attrezzate, reagirebbero, modificando gli ingredienti per rientrare nei parametri attraverso l'utilizzo di surrogati artificiali, con meno grassi saturi, ma non necessariamente migliori dal punto di vista qualitativo. Un esempio, le patatine fritte: invece dell'olio di semi di semi di girasole, che contiene grassi saturi, potrebbe essere utilizzato l'olio di colza, che contiene grassi monoinsaturi, ma che sicuramente non può essere considerato più salutare.
Secondo un sondaggio della Coldiretti una tassa sul 'cibo spazzatura” trova il consenso di più di 8 italiani su 10 (81%), a patto che le risorse siano destinate al sostegno dei cibi genuini del territorio. Cosa pensa del fatto che gli italiani siano diventati così attenti alla salute, al punto da essere d'accordo con l'introduzione di una nuova tassa?
Coldiretti è sicuramente una delle più autorevoli associazioni di agricoltori presenti in Italia e il sondaggio segnala una forte sensibilità da parte dell'opinione pubblica sul tema. Ma non mi spingerei oltre nel trarre indicazioni. Esprimo alcuni dubbi, infatti, sul fatto che si possa partire, per una discussione ragionata, da risultati ottenuti da un sondaggio, quindi non da un'indagine eseguita con metodo consono alla corretta prassi statistica. Il quesito, nella forma in cui è stato posto ('Sei per una tassa sul cibo spazzatura per sostenere quello genuino e locale anche a scuola?”), lascia alla sensibilità di ognuno dare un significato all'espressione 'cibo spazzatura”, quello che, per assurdo, molte persone che hanno risposto al sondaggio probabilmente non credono nemmeno di consumare. Inoltre, rispetto a come è formulata la domanda, che ritengo un poco tendenziosa, mi lasciano molto più perplesso le ragioni alla base della risposta negativa, su cui sarebbe interessante indagare.
Ciò che noi sosteniamo, infatti, è la necessità di un approccio serio e ragionato, lontano da qualunquismo e populismo, su cui, proprio per le caratteristiche emergenziali che il problema sta assumendo, non è il caso di fare speculazioni. Condividiamo l'approccio per cui occorre incentivare una corretta alimentazione e uno stile di vita sano, ma ciò su cui occorre concentrarsi è il metodo e l'efficacia degli strumenti che si vanno a individuare. Tuttavia, se alla fine l'obiettivo di un Paese è solo quello di far cassa e porre un nuovo balzello, allora le discussioni e i buoni propositi e lo spazio che gentilmente concedete sul vostro giornale, per una discussione aperta sul tema, si rivelerebbero solo inutili perdite di tempo. Ma se così fosse pretendiamo dal Governo almeno l'onestà intellettuale di ammetterlo. Speriamo comunque che non accada.
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