Pugno di ferro del Governo Monti che vuole attuare con un tempo da record quello che tutti chiamano ormai le liberalizzazioni. E se da un lato si spinge per accelerare i tempi, con un decreto legge da attuare entro il 20 gennaio, dall'altro lato le "corporazioni" e le associazioni sono pronte a respingere le medesime facendo serrate, proteste e manifestazioni in piazza. E in questo contesto c'è la liberalizzazione degli orari del commercio che, eredità del governo Berlusconi, ha creato grandi allarmi e polemiche fra gli operatori del settore.
Aldo Cursano (nella foto), presidente di Fipe Toscana e vicepresidente vicario nazionale Fipe (la Federazione italiana pubblici esercizi della Confcommercio), ha decios di scendere in campo per rappresentare con forza tutte le difficoltà di un settore che, già colpito dalla crisi, rischia ora di vedere saltare tutti i suoi conti. Cursano, in una diichiarazione a Italia a Tavola, parte esprimendo proprio la preoccupazione che la liberalizzazione degli orari metterà ancora di più in ginocchio il mondo della ristorazione e il sistema di imprese commerciale in generale, favorendo ancora una volta i grandi colossi, ma distruggendo definitivamente i piccoli. Per Cursano «le nuove norme sulle liberalizzazioni deglio orari di fatto non considerano i territori e le esigenze del popolo e rischiano al tempo stesso di condizionare la tenuta di una nazione sull'orlo del precipizio. E mettere in serio pericolo imprenditori e consumatori stessi».
«Non è mia intenzione entrare nella disputa politica in essere o nella lotta fra colossi della distribuzione - dice Cursano - ma visto che si sta giocando sulla nostra pelle, sul nostro lavoro e sul nostro futuro ritengo doveroso intervenire. La consapevolezza di sentirsi legati alla propria città, alla sua storia, alla sua gente, alla sua economia e alla sua cultura spinge taluno a sentirsi autorizzato ad approfondire tematiche che potrebbero condizionare il futuro e la tenuta del nostro Paese in una fase di cambiamenti epocali che stanno trovando il nostro Paese in una situazione di forte debolezza con la consapevolezza che non possiamo più permetterci di sbagliare.
Nessuno mette in discussione il principio di liberalizzazione come possibilità e opportunità di accesso al settore ma questo deve avvenire all'interno di un quadro di riferimento cui è ruolo della politica dover garantire».
Chiamando direttamente in campo i politici, con cui ogni sindacato od organizzazione di categoria non può non dialogare per rappresentare al meglio gli interessi degli associati, Cursano parte da Firenze, la sua Città nonché simbolo delle "arti e dei mestieri", ricordando che «rinunciare o non poter svolgere questa funzione regolatrice rappresenterebbe una grave sconfitta della politica e metterebbe in discussione il ruolo e la funzione delle amministrazioni locali». Sapendo di rivolgersi a uno dei poltici italiani più "innovatori", il sindaco fiorentino Matteo Renzi, il presidente Cursano afferma che «non avere gli strumenti e la possibilità di governo e di regolazione dello sviluppo di un territorio, vuol dire perderne il controllo dello stesso in quanto tutto e tutti possono fare quello che vogliono (alcool a tutte le ore, rumore con impatti ambientali fuori controllo, dequalificazione professionale, banalizzazione dell'offerta, fast food e kebab in tutte le strade e piazze dei centri cittadini con la sicura chiusura dei locali storici ecc.)».
Una situazione che per Cursano metterebbe fra l'altro a rischio sia il consumatore, che perde ogni tipo di garanzia, sia lo stesso operatore che perde il quadro di riferimento come garanzia per fare impresa.
«Fermo restando la possibilità di accesso al settore, le regole da sempre hanno rappresentato un punto di riferimento insostituibile per la tutela e salvaguardia del piccolo rispetto allo strapotere dei grandi».
Questa è stata del resto una conquista della società civile che ha consentito fino ad oggi a città come Firenze di conservare una forte identità e unicità del nostro modello anche perché rappresenta, prosegue il vicepresidente vicario della Fipe, «un legame forte con il suo territorio inteso non solo come spazio fisico ma come grande contenitore di valori, da quelli della cultura, delle tradizioni e della storia a quelli ambientali e della sicurezza a quelli dell'esperienza e del sapere a quelli dei sapori e della propria cultura gastronomica. Le nostre imprese sono espressioni culturali del nostro territorio, ne sono la testimonianza viva della sua storia e sono i luoghi della socialità e della convivialità che hanno da sempre rappresentato uno stile di vita unico al mondo, il nostro, quello italiano. Salvaguardare questi punti di forza vuol dire avere un futuro e salvaguardare noi stessi e mantenere la forte identità che ci ha resi unici nell'immaginario collettivo».
Non è liberalizzando che si risolvono i problemi, sintetizza Aldo Maria Cusano, «e non è creando un far west che si distoglie l'attenzione dei problemi reali degli italiani, né si può pensare ai cittadini come soli consumatori sperando che con ciò si sviluppa l'economia del Paese. Va invece rivalutata l'economia reale e il lavoro che sono espressioni del sistema di imprese… e non di chi specula e trae vantaggi dal lavoro degli altri».
Occorre invece rimettere al centro dei valori di riferimento intorno ai quali ricostruire una società. E questi processi vanno governati e non liberalizzati. Diversamente si fa solo il gioco dei poteri forti quando invece l'interesse prioritario nazionale in questo particolare momento di crisi e recessione dovrebbe essere quello di difendere la sua base produttiva e mettere le nostre imprese nelle condizioni di competere e continuare a restare sul mercato come fanno negli altri stati.
Per capire la difficile situazione Cursano invita a osservare alcuni numeri sulla dimensione della crisi: «in Italia nel 2011 sono cessate oltre 100mila attività commerciali, con quasi 300 aziende che al giorno spengono le luci. In Toscana sono quasi 8mila le attività commerciali che hanno chiuso, quindi circa 20 aziende al giorno che "abbassano il bandone".
In questo scenario, dobbiamo ricordare che le imprese e i servizi ad oggi rappresentano il 58% del Pil e il 53% dell'occupazione.
Ma andiamo avanti: la pressione fiscale è arrivata al 45%, sono aumentati i costi di esercizio oltre i mali che affliggono le famiglie e i consumi che dimostrano che siamo già in recessione».
Per questo secondo Cursano il Paese deve stare vicino alle sue imprese che sono in prima linea in questa crisi, perché senza un sistema produttivo e dei servizi forte, il declino diventa una realtà, è come un piano inclinato dove si sta scivolando.
Le imprese stanno ancora pagando i costi degli eccessi e degli squilibri della finanza (per mancanza di regole e controlli a garanzia del cittadino e consumatore) e non vuole pagare anche gli eccessi e gli squilibri della non politica (oppure della politica)!
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