Certificare la professionalità del Cuoco significa garantire salute e sicurezza
14 agosto 2017 | 10:12
di Alberto Lupini
Il riferimento non è tanto alla capacità di realizzare una ricetta (in quello anche mia mamma è brava e se mi sforzo pure io potrei arrivarci...) o di scegliere prodotti di qualità. Ciò che davvero conta è offrire le giuste garanzie rispetto all’igiene e alla salute. Questo è il punto imprescindibile che deve distinguere un cuoco, un pasticcere o un pizzaiolo da chi prepara o somministra cibo. Non si può essere professionisti di questo settore se non si conoscono gli eventuali danni che il cibo può provocare alla salute, a partire dalla conservazione di un prodotto. E purtroppo non sono pochi quelli che si proclamano cuochi (perché magari hanno seguito un corso farlocco di 6 fine settimana e fatto qualche ora da lavapiatti pagando qualche accademia...) e poi non sanno cosa sia un abbattitore o che le uova non possono essere messe senza contenitori ermetici in frigorifero con altri cibi... Il rischio non è solo di rovinare degli alimenti, ma di fare stare male chi poi li dovesse consumare.
Al di là del tipo di cucina che si vuole fare, un cuoco deve dare garanzie in uno standard di qualità. Per questo serve una certificazione da rinnovare. Ci sono sempre nuove tecniche da apprendere, e un cuoco deve quindi essere costantemente aggiornato. E questo dovrebbe riguardare tutti i 330mila locali dove si somministra cibo (a volte senza i requisiti minimi di sicurezza igienica) e tutte le aziende alimentari. Tutto ciò dovrebbe essere garantito dalle nuove norme sulla professione del Cuoco che da tempo auspichiamo che il Parlamento si decida ad approvare. Pensiamo al progetto presentato dalla Fic per definire la figura professionale del Cuoco. O a quelli presentati per maître, sommelier e barman. Il nostro sistema dell’accoglienza ne ha assolutamente bisogno per contribuire sul serio ad un nuovo ciclo di sviluppo virtuoso.
Se poi passiamo al mercato del lavoro va detto che oggi siamo in presenza di una pericolosa deregolamentazione per cui chiunque si può inventare di fare il cuoco. Fra i professionisti si registra poi un aumento verso l’iniziativa privata, la piccola impresa o il lavoro autonomo. Servono quindi con urgenza nuovi ambiti tecnico-normativi per orientare la formazione di base e l’esercizio professionale, garantendo in primo luogo i consumatori. E questo è un compito dello Stato. Così come tocca alle istituzioni con urgenza definire gli ambiti degli home restaurants, dove il termine "cuoco professionista" dovrebbe essere vietato perché in aperto contrasto coi requisiti minimi finora ricordati. Ma questa è un’altra storia…
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Di seguito la lettera a cui abbiamo cercato di dare una risposta.
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Egregio Direttore,
ho letto il suo editoriale pubblicato nell’ultimo numero di Italia a Tavola. Concordo sulle sue riflessioni sia relative alla necessità di porre degli argini al degrado dell’accoglienza turistica sia sul problema che sta crescendo a velocità impressionante sui blogger, influencer, ecc.
Le chiedo cortesemente un chiarimento. Perché c‘è necessità di discutere ed approvare la figura professionale del cuoco? A differenza dei sommelier (peraltro giustamente da lei citati) i cuochi hanno già un inquadramento ufficiale recepito anche dalla normativa dei relativi contratti di lavoro come pure sono riconosciuti i barman e credo i maître.
Grazie per la sua spiegazione.
Con viva cordialità,
Andrea Terraneo
Presidente Vinarius Associazione Enoteche Italiane
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Alberto Lupini