Le attese di agricoltura e ospitalità per il Governo che verrà

Il comparto enogastronomico e turistico necessita di interventi pubblici a tutti i livelli. Servono nuove leggi e dovrebbero anche essere rivisti recenti provvedimenti, primo fra tutti il reddito di cittadinanza

26 agosto 2019 | 10:55
di Alberto Lupini
Nel difficile momento politico che sta attraversando l’Italia, ai non addetti ai lavori sembra che tutto ruoti attorno ai nomi di chi dovrebbe entrare nel nuovo Governo (scontato che un Governo, elezioni anticipate o meno, si dovrà fare). In attesa che si cominci a parlare anche di un programma concreto, che non potrà non contenere norme per evitare un aumento dell’Iva che sarebbe drammatico in tempi di recessione, ci sono già molte richieste da parte dei sindacati dei lavoratori e delle imprese per evitare che la crisi economica si avviti su se stessa e ci faccia perdere ulteriori occasioni di sviluppo.


Nicola Zingaretti (Pd), Luigi Di Maio (M5s), Matteo Salvini (Lega)

Per quanto riguarda il settore del turismo e dell’ospitalità già abbiamo richiamato l’importanza di non disperdere le opportunità che si stanno concretizzando grazie all’abbinamento dei ministeri delle Politiche agricole e del Turismo. L’enogastronomia è il terminale di una filiera importante che unisce oggi anche a livello di immagine agricoltori, trasformatori, ristoratori e albergatori. Si tratta di un mondo che ha assolutamente bisogno di interventi pubblici a tutti i livelli. Da un miglior coordinamento fra i diversi protagonisti ad una più efficace promozione, da una nuova formazione (soprattutto per l’accoglienza) a infrastrutture capaci di rendere competitive sui mercati globali tutte le nostre offerte. Pensiamo solo a più efficienti servizi di trasporto (dalla Tav alle varie Pedemontane, dalla rete stradale quasi abbandonata a se stessa nel centro-sud agli aeroporti da collegare con le ferrovie) e a collegamenti Internet ad alta velocità.

Servono anche nuove leggi che mettano ordine in un campo delicatissimo come quello del cibo. Oltre 300mila attività che somministrano cibo (con norme ed obblighi diversificati) è un assurdo per chi immagina di costruire sull’enogastronomia uno dei suoi pilastri di uno sviluppo virtuoso. Gli home restaurant senza controlli o i kebab che diventano esercizi pubblici senza gli obblighi e gli oneri a carico dei ristoranti sono segnali da Paese del Terzo mondo. Almeno quanto il far west che si è creato nei posti letto con l’attività di molti B&B che di fatto sono diventati alberghi, ma senza regole.

A queste cose nuove da fare (delle quali si parla da anni...) ci sono da aggiungere anche le recenti riforme da rivedere, considerati i guasti prodotti da politiche governative poco attente alla realtà e ai bisogni delle nostre comunità. Pensiamo al reddito di cittadinanza che ha mostrato tutta la sua incostanza per agevolare l’ingresso di nuovi occupati, enfatizzando al contrario una concezione assistenzialistica, soprattutto al sud, e consolidando la piaga del lavoro nero. Si tratta di una norma che ha peggiorato, se possibile, i guasti prodotti dal cosiddetto “decreto dignità” con cui aziende agricole, esercizi pubblici e hotel sono stati letteralmente messi in ginocchio per l’impossibilità di utilizzare personale saltuario nelle punte di lavoro. Il vulnus vero di quella legge, che poteva avere una sua ragione, è stata la conferma dell’abolizione dei voucher già decisa dal Governo Pd di Gentiloni sotto la pressione di una Cgil oltranzista e fuori dalla realtà. Il risultato è che molte piccole imprese sono tornate ad avere personale in nero, invece che tutelare i dipendenti saltuari pagando i contributi, e in molti casi hanno rinunciato a migliorie ed investimenti per la difficoltà di poter avere personale nelle occasioni di punta del lavoro (giornaliere, settimanali o stagionali).

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Alberto Lupini


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