Non è solo il Codice del turismo ad attirare pesanti critiche. Ma suscita sempre più indignazione il sito ministeriale del turismo italiano www.italia.it del ministro Brambilla. Il sito risulta pieno di errori e strafalcioni degni di una guida di terz'ordine. E non solo: è completamente dimenticato l'agriturismo, un settore importantissimo per il turismo del Belpaese, particolarmente amato dagli stranieri (a dimostrarlo la recente recensione più che positiva del Times). Sapori del Piemonte blog ha analizzato i grossi errori per quanto riguarda il Piemonte presenti sul sito del Ministero.
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Il Barolo? Si fa nei dintorni di Torino. Le raviole 'al plin” della Langa? Anche. I vini piemontesi sono 'da arrosto” (?) e il tartufo nero è «saporito e pregiato» quanto il bianco. Errori banali, grossolani, degni di una guida turistica di infimo ordine. Che, invece, purtroppo, si trovano sul sito governativo www.italia.it, il portale voluto dalla ministra del Turismo, Michela Vittoria Brambilla, per promuovere le bellezze italiane.
Ora uno va sul sito www.italia.it convinto di trovare notizie precise, anche perché in testa c'è il logo del ministero. E invece trova una roba che sembra fatta in fretta e furia, senza controlli e cura e che dà un'impressione di una sciatteria infinita e triste.
Esagerazioni da super-pignoli? Per nulla. La homepage di www.italia.it si apre su cinque menu a tendina: scopri l'Italia, idee di viaggio, notizie, media e organizza il tuo viaggio. Noi abbiamo scelto il primo e, quindi, ciccato sul link Piemonte.
E qui sono sorte le prime perplessità. Cosa significa la frase che c'è alla voce 'cosa assaggiare” «Il Piemonte produce alcuni dei più pregiati vini da arrosto italiani: Barolo, Barbaresco, Gattinara, Ghemme, Nebbiolo, Freisa, Grignolino, Barbera, Dolcetto»? Cosa sono i vini 'da arrosto”? Quelli che si degustano mangiando carne arrostita (quindi non con salmì, spezzatini e bolliti) o che si usano come ingredienti degli arrosti? Mistero ministeriale.
Vabbè, tutto sommato un peccato veniale, non fosse che nei sotto-link delle varie province piemontesi i dubbi aumentano e gli svarioni pure.
Nella sezione 'cosa assaggiare” della pagina che presenta Torino (Torino!), infatti, si legge che: «il territorio vanta eccellenti produzioni di vini tra cui rossi corposi come… il Barolo…».
Ma quando mai. Il re piemontese dei vini, come indica il disciplinare, si ottiene, da uve nebbiolo, solo nel territorio di 11 Comuni della provincia di Cuneo. Non bisogna essere enologo per scoprirlo, basta cliccare su www.langhevini.it. Noi italiani facciamo la battaglia in Europa e nel mondo sulla tutela delle denominazioni dei vini e poi non le conosciamo neppure. Come direbbe Emilio fede: «che figura di m…»
Ma non basta: nella stessa sezione c'è scritto che i piatti tipici della zona di Torino sono: «…gli agnolotti del plin, conditi con sugo di arrosto e salvia». Sorvoliamo sull'orripilante 'sugo d'arrosto” accompagnato, altro orrore, dalla salvia (sarà stato in alternativa burro e salvia?). Le raviole (o agnolotti) al plin sono tipiche della Langa cuneese e astigiana. Punto.
Poi c'è la questione del Tuber Magnatum Pico, il tartufo bianco d'Alba, che www.italia.it celebra anche con un bel filmato. Peccato che sia equiparato al tartufo nero il quale, bontà ministeriale, è definito «altrettanto saporito e pregiato». A parte le differenze di profumi e gusto, personali e opinabili, i due funghi ipogei hanno anche costi diversi e ben distinti: 400 euro all'ettogrammo il bianco e attorno ai 50 il nero, cioè quasi dieci volte di meno. Non è poco per chi vende e chi compra.
Fin qui alcuni svarioni, a nostro avviso gravi, in campo enogastronomico. Ma ci sono anche quelli in tema turistico, forse ancora più gravi.
Sulle pagine dedicate all'Astigiano si trova indicato correttamente il paese di Costigliole, ma anche erroneamente come Castigliole d'Asti, dove, secondo www.italia.it, il locale castello sarebbe sede di un'annuale 'asta del Barbera” che però non si svolge più da anni. Come la 'Giostra delle borgate nicesi”, sorta di palio che si svolgeva a Nizza Monferrato.
Un refuso di stampa può sempre accadere, ma qui i testi sembrano non essere nemmeno stati controllati, al pari non sono state aggiornate le notizie sugli eventi effettivamente in attività. Che sia stato fatto un selvaggio compia-incolla? Se fosse così sarebbe davvero incredibile.
Come davvero è poco credibile che su www.italia.it non si trovi traccia della Douja d'Or di Asti e del concorso enologico nazionale collegato. E questo nonostante le risorse che ogni anno la Camera di Commercio di Asti mette a disposizione per un evento che evidentemente non suscita interessi al di là dei confini transprovinciali. In questo caso il copia-incolla non ha funzionato.
E che dire di Santo Stefano Belbo (Cuneo) patria di Cesare Pavese e culla del Moscato d'Asti, che non appare tra le attrattive del Cuneese; o dell'assenza assoluta di riferimenti alla candidatura dei paesaggi vitivinicoli piemontesi a Patrimonio dell'Umanità sancito dall'Unesco, un progetto che è stato appoggiato da Governo e dal Ministero per i Beni Culturali i quali, evidentemente, sembrano non avere contatti e scambio di notizie col dicastero retto dalla Brambilla.
Insomma il portale del turismo del Ministra fa acqua da tutte le parti. E pensare che noi abbiamo sbirciato solo le pagine del Piemonte. Chissà che cosa c'è nelle sezioni dedicate alle altre regioni.
Del resto gli esperimenti precedenti erano andati anche peggio se possibile. Prima della Brambilla era stato il ministro Lucio Stanca, nel Governo Berlusconi dal 2001 al 2006, a lanciare il portale Italia.it con uno stanziamento faraonico. All'epoca si parlò addirittura di 45 milioni di euro. Poi la cosa s'incagliò tra le polemiche. Il Governo Berlusconi cadde e fu Francecso Rutelli, nominato ministro ai Beni Culturali dal premier Romano Prodi, a riprendere il discorso. Il sito fu riaperto, ma immediate fioccarono le denunce di errori e sprechi. Tanto che anche Rutelli abbandonò. La Brambilla l'anno scorso ha resuscitato www.italia.it con una spesa, a quanto si dice, attorno agli 8 milioni di euro. Ma con risultati, come abbiamo visto. quanto meno discutibili.
Filippo Larganà
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