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Sagre, smartworking e pochi turisti Nei centri storici il ristorante muore

La mancanza di clientela sta assestando un ulteriore colpo alla ristorazione già provata a causa dei mesi di lockdown. L’apertura delle sagre, poi, costituirà un ulteriore danno. Bisogna ripensare il sistema, valorizzando la professionalità, la qualità e la sicurezza. Basta con la concorrenza sleale e le attività fuori dalle regole.

di Alberto Lupini
direttore
 
22 giugno 2020 | 14:30

Sagre, smartworking e pochi turisti Nei centri storici il ristorante muore

La mancanza di clientela sta assestando un ulteriore colpo alla ristorazione già provata a causa dei mesi di lockdown. L’apertura delle sagre, poi, costituirà un ulteriore danno. Bisogna ripensare il sistema, valorizzando la professionalità, la qualità e la sicurezza. Basta con la concorrenza sleale e le attività fuori dalle regole.

di Alberto Lupini
direttore
22 giugno 2020 | 14:30
 

Il dopo lockdown conferma molte delle più negative previsioni. Fra bar e ristoranti almeno uno su dieci non ha riaperto. E per gli altri parlare di un crollo del fatturato è quasi un eufemismo. Nella media siamo alla metà di quanto si incassava prima della chiusura (anche considerando asporto e delivery). Ma nei centri storici i ricavi al più arrivano al 20-25%: qui si fanno sentire sia la scomparsa dei turisti, sia la mancanza di lavoratori e universitari che restano a casa in smartworking, statali e bancari in primis. Per non parlare degli hotel che, salvo qualche località al mare o in montagna, hanno riaperto in non più di 3 casi su 10. E non va certo meglio per le discoteche che, anche se con qualche timida riapertura all’aperto, pagano il dazio del distanziamento (incompatibile con il ballo e il divertimento).

A incidere pesantemente è il clima di paura dopo che per mesi tv e internet hanno martellato contro il mondo dell’accoglienza e dell’ospitalità, quasi fossero questi i locali del contagio. Salvo poi scoprire che i focolai sono scoppiati negli ospedali e nelle Rsa (e il caso del disastro sanitario della Lombardia ne è l’esempio). Per non parlare delle case dove state lasciate le persone contagiate senza sintomi gravi.

Sagre, smartworking e pochi turisti Nei centri storici il ristorante muore

Comprensibile che in questo clima i consumatori, peraltro con minori risorse per la crisi economica devastante, usino cautela prima di entrare in un pubblico esercizio. Se poi pensiamo che qualche gestore si è fatto abbindolare da chi spacciava le divisorie in plexiglass come la panacea contro il covid-19 (facendo scappare i clienti che non amano sentirsi nel parlatorio del carcere), si può ben capire perché il grido di allarme delle imprese sia ormai un urlo a cui potrebbe seguire una rivolta. E intanto siamo storditi dal silenzio assordante della classe politica che, al Governo come nelle Regioni, sembra occuparsi del nostro mondo solo perché tirata per i capelli. Almeno si attivassero per garantire quei finanziamenti che solo un’azienda su 4 è riuscita ad ottenere dalle banche. Per non parlare della cassa integrazione che finora non è stata data ai dipendenti di 4 imprese su 10. E se non fosse stato per gli interventi dei sindacati, Fipe per prima, sarebbe magari saltata quest’estate. Insomma un vero disastro...

E in questa crisi drammatica, che vede molte mense aziendali chiuse o con forti riduzioni, insieme al blocco del mondo del catering e degli eventi, cosa si inventano i politici italiani? L’apertura delle sagre, il simbolo degli assembramenti e in genere di un’igiene sommaria e di evasione contributiva, salvo quelle “di qualità” gestite dalle Pro loco, che però sono meno di una su 4 di quelle fatte in Italia. Un calcolo per soddisfare il sottobosco politico, a destra come a sinistra, con la scusa che... tanto il virus sarebbe indebolito. Già, ma se lo è, vale per tutti, non solo per chi organizza sagre!

Ma tant’è, fra sagre e smartworking ce n’è abbastanza per dare un colpo di grazia a tutto il mondo della ristorazione e dell’ospitalità che pure si è rimesso in gioco con davvero pochi aiuti.

In questa situazione occorre fare qualche considerazione, magari amara, ma doverosa. Prima della pandemia avevamo più volte scritto che c’erano troppi locali in cui si somministra cibo o si può dormire. E non ci riferiamo certo agli agriturismi che peraltro andrebbero considerati a tutti gli effetti ristoranti o locande. Persino nelle boutique si è arrivati a vendere cibo. In casa si inventano gli home-restaurant o si affittano in nero le camere da letto.

Occorre ripensare questo sistema. Va rivisto un modello economico sbagliato e accettare l’idea che dobbiamo “asciugare” il comparto
. Gli incassi di prima non torneranno più per un bel po’, e la torta non può più essere divisa come prima. È amaro doverlo scrivere, ma l’Italia in queste situazioni non può avere quasi 3 volte più dei locali della Francia. Si deve valorizzare la professionalità, la qualità e la sicurezza. Non è più il tempo di qualche guadagno marginale fuori dalle regole. Si devono fare economie di scala e capire che ad esempio, se non torneranno le masse dei turisti di un tempo (spesso con pochi soldi) e se il lavoro da casa resterà una regola (per fini elettorali di alcuni politici), gli incassi di certi locali dei centri storici non basteranno certo a coprire gli elevati costi degli affitti. Con il che si innescherà un ulteriore degrado socio-economico in cui solo la criminalità avrà da guadagnare. Ce lo possiamo permettere?

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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