Il coronavirus ha lati sempre meno oscuri e, soprattutto, sempre meno preoccupanti. Almeno secondo quanto sostengono gli studiosi che, attraverso indagini differenti, stanno chiarendo la situazione arrivando a conclusioni confortanti. Squarci che possono far sorridere anche il commercio, bar e ristoranti in primis che in questo modo avrebbero una “pezza” in più da giocarsi per chiedere meno limitazioni all’interno dei locali. Sia chiaro, tutto va inserito in un contesto che sta facendo ancora i conti con morti e contagiati gravi, ma i nomi che proprio oggi si sono esposti per affermare l'indebolimento del virus hanno un'autorevolezza tale da meritare considerazioni positive. E poi il riferimento è sempre al via libera dato alle sagre: ammesso e non concesso che la scelta di farle svolgere si possa basare su queste considerazioni scientifiche, allora anche la ristorazione tradizionale merita più attenzione e lo scioglimento di quelle catene che la stanno condannando al ko. E se c'è meno pericolo per fare sagre simbol di aggregazione, perchè non permettere ai catering di lavorare? E come non tenere conto a questo punto di chi chiede che si allentino i vincoli almeno nelle regioni con meno contagi?
Ma vediamo i segnali positivi degli scienziati: in primis è stato il direttore dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs, Giuseppe Remuzzi che in un'intervista al Corriere della Sera ha affermato come i nuovi infetti non siano più contagiosi richiamando il Governo ad una corretta informazione.
Poi è toccato ad Alberto Zangrillo, direttore delle Unità di anestesia e rianimazione generale e cardio-toraco-vascolare dell'ospedale San Raffaele di Milano che ha ipotizzato lo stop alle mascherine all'aperto entro fine mese, infischiandosene delle polemiche sul suo ottimismo di qualche settimana fa. Inoltre i ricercatori della Fondazione Bruno Kessler (Fbk) di Trento, in collaborazione con istituzioni sanitarie lombarde e atenei milanesi e Usa, hanno ribadito come gli under 60 siano principalmente asintomatici.
Infine, in questo parterre de roi, non poteva mancare il virologo Roberto Burioni che ha paragonato il covid all'Hiv per affermare l'importanza dei farmaci antivirali e ridurre la necessità urgente di un vaccino.
Virus alle corde
Giorgio Remuzzi: «Basta paure ingiustificate»Il direttore dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs,
Giuseppe Remuzzi è sicuro:
«I nuovi positivi a Covid-19 non sono contagiosi, basta paure ingiustificate. Istituto superiore della sanità e Governo si rendano conto che la situazione è cambiata da quel lontano 20 febbraio quando fu diagnosticato il “paziente 1” di Codogno».
Giorgio Remuzzi
Mica male come affermazione, una boccata d'ossigeno per tutti sostenuta da uno dei maggiori esperti che, a sua volta, parla su basi scientifiche (naturalmente, ma ahinoi va sottolineato dopo il chiacchiericcio di questi mesi): «Una ricerca - spiega infatti lo scienziato - dimostra che si registrano casi di positività con una carica virale molto bassa, non contagiosa. Li chiamano contagi, ma sono persone positive al tampone. Bisogna spiegare cosa sta succedendo alla gente, che giustamente si spaventa"quando sente i dati, dice Remuzzi. Qui all'Istituto Mario Negri stiamo per pubblicare uno studio che contiene alcune informazioni utili per capire, almeno così mi auguro».
In bar e ristoranti è ancora necessaria tanta severità?
«Abbiamo condotto uno studio su 133 ricercatori del Mario Negri e 298 dipendenti della Brembo - riferisce il medico - in tutto, 40 casi di tamponi positivi. Ma la positività di questi tamponi emergeva solo con cicli di amplificazione molto alti, tra 34 e 38 cicli, che corrispondono a meno di 10mila copie di Rna virale. Questo significa che sono casi di positività con una carica virale molto bassa, non contagiosa». Per Remuzzi, dunque,
commentare i numeri che vengono forniti ogni giorno «è inutile, perché si tratta di positività che non hanno ricadute nella vita reale». E qui ci chiediamo se allora certe regole (rigide per bar e ristoranti) non possano cadere...«Non è che il sistema attuale basato sui tamponi sia sbagliato - puntualizza Remuzzi - ma sta andando avanti in modo burocratico con delle regole che non tengono conto di quello che sta emergendo dalla letteratura scientifica. Non bisogna confondere il numero di tamponi con l'andamento dell'epidemia».
Ma come si spiega che la stragrande maggioranza dei nuovi casi viene registrata solo in una regione? «C'è stata una enorme quantità di malati, il virus è girato molto e questi sono i residui di quella diffusione», risponde il medico che non è preoccupato dalla crescita di pazienti che prosegue soprattutto in Lombardia:
«Se sono positivi allo stesso modo di quelli della nostra ricerca, ovvero con una positività ridicolmente inferiore a 100mila», non c'è da temere «perché non possono contagiare gli altri». E se invece non fossero debolmente positivi? «C'è solo un modo per scoprirlo. Bisogna dire quanto Covid-19 c'è nelle nuove positività. È quello che sto chiedendo», chiarisce Remuzzi.
Il virus alza bandiera bianca?
Zangrillo: «Facciamo i bravi, poi via le mascherine a fine giugno»A proposito della situazione covid e delle misure di sicurezza per limitare i contagi è intervenuto anche
Alberto Zangrillo, direttore delle Unità di anestesia e rianimazione generale e cardio-toraco-vascolare dell'ospedale San Raffaele di Milano che insiste sulla sua linea dell'ottimismo costruito su basi concrete nonostante nelle scorse settimane sia stato oggetto di furiose critiche quando affermò che «il virus era clinicamente scomparso». Forse qualcosa di vero c'era.
«Il lockdown è stato efficace, anche se drammatico per l'economia. Il distanziamento intelligente è una buona misura. Ma se continueremo a comportarci bene, se seguiremo le norme igieniche che ben conosciamo, sono certo di una cosa: a fine mese, almeno all'aperto, faremo a meno delle mascherine». Pure Zangirllo sostiene che sia il momento di fare corretta informazione da parte delle istituzioni che, probabilmente per evitare di cadere in ulteriori errori, stanno frenando più del previsto mandando in tilt l’economia a fronte di una tutela della salute non giustificata nei termini in cui viene applicata ora. Pensiamo ad esempio alla necessità di mettere le mascherine nei bar e ristoranti solo quando si entra, si esce e si deve andare alla toilette, ma non - per ovvvi motivi - quando si mangia. Se già di per sè suonava stonata così come nota, ora sembra completamente fuori luoghi e inapplicabile.
Alberto Zangrillo
Fondazione Bruno Kessler: 69,1% di under 60 infetti, senza sintomiTramite uno studio condotto su 4.326 persone in Lombardia la Fondazione Bruno Kessler di Trento con istituzioni sanitarie lombarde e atenei milanesi e Usa, ha evidenziato le fasce d’età più colpite e l’intensità dei sintomi. Dall'analisi, disponibile online nell'archivio arXiv, in attesa di pubblicazione su una rivista scientifica,
è emerso che il 69,1% di tutti i soggetti con meno di 60 anni che hanno contratto l'infezione non ha sviluppato sintomi clinici, definiti in questa analisi come sintomi respiratori o febbre sopra i 37,5 gradi. Il 6,9% degli infetti con più di 60 anni ha invece avuto sintomi critici, tali cioè da richiedere cure intensive o da poter causare il decesso. In generale, il rischio di avere sintomi cresce con l'età mentre è sostanzialmente uguale negli uomini e nelle donne. In queste ultime è inferiore però, di ben il 53,5%, il rischio di avere sintomi critici. Lo studio è importante per evidenziare la percentuale degli infetti sintomatici nelle diverse fasce d'età, e cioè individui infetti dal virus Sars-CoV-2 che mostrano sintomi clinici.
Ad esempio, i soggetti sotto i 20 anni nell'81,4% dei casi appaiono senza sintomi clinici anche se hanno sviluppato l'infezione. Le infezioni senza sintomi clinici negli individui con più di 80 anni scendono al 33,1%.
Stefano Merler
«Questo lavoro - sottolinea
Stefano Merler, epidemiologo Fbk e autore dello studio - ci permette di dimostrare chiaramente le difficoltà di individuare le infezioni con la sorveglianza, visto che la maggioranza di queste non sono associate a sintomi respiratori o febbre.
L'indagine rappresenta inoltre un utile tassello per capire meglio il ruolo dei bambini nell'epidemiologia di Covid-19, cosa su cui si sa obiettivamente ancora poco. È noto a tutti che sono stati identificati pochi bambini positivi durante la pandemia, ma questo studio permette di distinguere il contributo di una possibile minor suscettibilità all'infezione dei bambini, che avevamo identificato in un precedente studio condotto in Cina, rispetto appunto alla probabilità di sviluppare sintomi clinici una volta infetti».
«Si aprono infine altre interessanti questioni di ricerca - prosegue Merler - Abbiamo stimato la probabilità di sviluppo di malattia critica a seguito dell'infezione, trovando che è particolarmente alta nelle fasce di età più anziane (il 18,6% negli infetti con più di 80 anni), e questo ce lo aspettavamo. Ma abbiamo anche visto che le donne hanno un rischio minore e il perché, anche in attesa di altri studi che confermino questi risultati, resta ancora tutto da chiarire», conclude.
La ricerca di stampo trentino richiama a quella libertà maggiore concessa dalla Provincia autonoma di Bolzano, prima a riaprire le attività e prima anche ad annullare il distanziamento di un metro per le persone che si frequentano abitualmente, fino ad un massimo di 10 per gruppo.
Antivirali meglio del vaccino?
Burioni: Antivirali determinanti
Roberto Burioni in un suo intervento pubblicato sul portale scientifico 'MedicalFacts' invita a non dimenticare il passato e le lezioni che arrivano da "una terribile epidemia" come quella di Hiv, "che ha sconvolto la terra a partire dagli anni '80". Epidemia che mostra "l'importanza dei farmaci antivirali".
«Quella che era una sentenza di morte», dice il docente dell'università Vita-Salute San Raffaele di Milano, «ora è diventata una malattia controllabile e ci fa meno paura anche se non abbiamo ancora un vaccino, perché la capacità del virus di eludere il nostro sistema immunitario (capacità che il coronavirus pare proprio non avere) ne ha impedito la messa a punto nonostante decenni di ricerca intensissima». Se è vero che oggi «di infezione da Hiv non si guarisce, l'aspettativa di vita di una persona infettata e ben curata non è troppo dissimile da quella di una persona che non ha contratto il virus».
Quali prospettive per bar e ristoranti?
Tutte queste considerazioni fungono da iniezione di morale forte per gli italiani che potrebbero uscire più liberamente e con un impiccio in meno come la mascherina, concedendosi qualche pranzo o cena in più, o un semplice caffè al bar anche perchè, a questo punto, anche le rigidissime linee guida imposte per i locali potrebbero forse ammorbidirsi. Va necessariamente ribadito che ogni tipo di considerazione deve abbandonare l'idea di fare il tifo per il proprio orticello e andare nella direzione di una tutela della salute che sia prioritaria. A questo punto però è lecito chiedersi con insistenza sempre maggiore quale significato abbiano le misure introdotte nella ristorazione anche alla luce di episodi che, in altri settori, non vengono monitorati con la stessa severità. Basti pensare all'ondata di polemiche nate per via di una movida scriteriata e al brusio che si è alzato per i festeggiamenti di Napoli dopo la vittoria della Coppa Italia ottenuta dalla squadra della città. E poi, le ricerche assecondano ulteriormente quella proposta avanzata dal Movimento Imprese Ospitalità dove si chiedeva che a seconda dell'intensità e della diffusione del contagio venissero prese contromisure in proporzione. Se già al momento l'ipotesi sembrava più che logica, ora sembra veramente una banalità da mettere in atto il prima possibile. Ma ahinoi, forse, non è ancora il tempo in cui le istituzioni hanno capito la centralità del settore Horeca per il Sistema Italia.