Dal 15 giugno in quasi tutta Italia, a partire dalla martoriata Lombardia e dalla Campania, si apre la stagione delle sagre. Appuntamenti che sono emblema di caos, assembramento e, spesso, di mancanza di igiene. Tanto che per le autorità sanitarie è già scattato l’allarme rosso visti i rischi che potrebbero rovinarci vacanze e ripresa. Altro che polemiche sulla movida notturna dei giovani. Con le ordinanze di questi giorni, una dopo l’altra le Regioni hanno autorizzato manifestazioni che, pur con un alto valore sociale, nei fatti sono esattamente il contrario di tutto ciò che si dovrebbe fare in questo periodo per evitare nuovi contagi. Ballare non si può. Organizzare un tavolo di amici al ristorante è vietato. Stare in un bar senza mascherina è a rischio di multa. L’ingresso dei mercati all’aperto è contingentato. Se da domani ci saranno nuovi focolai di covid-19 i cittadini sanno fin d’ora con chi prendersela…
Le sagre sono di fatto diventate eventi gastronomici spacciati come manifestazioni di volontari. Già questo dovrebbe fare scattare dei campanelli d’allarme. In tutti i luoghi di lavoro si devono seguire procedure rigorose che hanno comportato anche la formazione del personale. Chi garantirà in questi casi? Davvero è pensabile che sotto ai tradizionali tendoni che contengono centinaia di persone qualcuno sarà in grado di controllare se viene rilevata la temperatura di chi entra? Che chi serve ai tavoli indossa la mascherina? O che fra le persone nelle lunghe tavolate comuni sarà garantito il distanziamento di un metro? E non parliamo dell’igienizzazione di tovaglie, sedie o bagni…
Ma andiamo! Nemmeno fossimo diventati improvvisamente tutti i svizzeri-tedeschi si potrebbe pensare che ciò sarebbe possibile. Tanto più che anche la più importante sagra al mondo, l’Oktoberfest, è stata sospesa. Ma forse i lombardi Fontana e Gallera pensano di essere più bravi dei bavaresi a garantire la salute dei cittadini. Le ferite di Nembro e Alzano non hanno insegnato proprio nulla. Basta vedere lo scaricabarile di questi giorni fra Governo e Regione, ognuno voleva “allora” decidere, salvo "oggi" dire che toccava all’altro …
E la stagione delle sagre si apre senza che i politici di tutta Italia, di destra e di sinistra è uguale, pensino all’insulto che stanno facendo alle centinaia di migliaia di famiglie di chi lavora in bar o ristoranti. Parliamo di aziende che non riescono a riempire locali messi a norma e, peggio, che hanno almeno la metà dei dipendenti in cassa integrazione, non pagata grazie all’inefficienza dell’Inps e del suo presidente Tridico, di cui da tempo chiediamo le dimissioni. A Sindaci e amministratori regionali (per “incassare” qualche sostegno politico) sembra non interessare nulla se una sagra toglie i già scarsi clienti a bar, pizzerie o ristoranti.
In un momento di crisi drammatica per i pubblici esercizi, che sono stati chiusi per quasi 3 mesi; era davvero indispensabile riaprire attività per molti versi inadeguate, irregolari o farlocche? Se si vuole fare ripartire davvero l’Italia e il turismo, perché colpire ulteriormente un comparto già in ginocchio (e che paga le tasse) per favorire attività dove il volontariato nasconde spesso lavoro in nero e dove l’igiene è stata spesso solo un dettaglio trascurabile?
Questi eventi sono per lo più solo attività economiche svolte con la compiacenza dei politici locali. Di sagra non hanno infatti nulla perché non sono autentiche. Spesso sono solo feste popolari per raccogliere soldi. E poco importante che in qualche caso siano per iniziative benefiche: le sagre degli scampi sugli Appennini o quelle della Nutella invece che dei motociclisti, nulla hanno a che vedere con le tradizioni, la cultura, il turismo o le produzioni agricole di un territorio.
Ma al di là di considerazioni che da anni ci vedono in prima linea per restituire dignità e valore a questi appuntamenti (da quando dieci anni fa abbiamo lanciato con molte associazioni il Manifesto delle sagre autentiche), c’è proprio una questione economica centrale che non può essere sottaciuta. Anche scontando il fatto che quest’anno se ne faranno poche (in molti comuni delle Marche si è ad esempio con serietà deciso di spostarle al 2021, mentre in Umbria si pensa che se ne farà al massimo un quarto di quelle consuete) il fatto è che di finte sagre in Italia se ne fanno troppe e questa era l’occasione (persa) per dare una regolata. Ci fossero solo quelle regolari, autentiche e legate al territorio ne saremmo tutti felici: il problema è che ormai di sagre ce ne sono di ogni tipo, ovunque, da quelle del pesce in montagna a quelle, sempre numerose, di partito.
Numeri alla mano, l’anno scorso era state più di 42mila (l’80% delle quali concentrate proprio nei mesi estivi e 15mila solo ad agosto), generando un giro d’affari pari a 900 milioni di euro (quasi tutto esentasse). Di queste, addirittura 32mila, secondo la Fipe, sarebbero “abusive”, ovvero senza alcuna connotazione di tipicità e, non da ultimo, prive degli stringenti requisiti (richiesti invece ai ristoratori tradizionali) riguardo igiene, sicurezza alimentare e fiscalità.
Le sagre erano diventate una sorta di ristorazione parallela, con tanto di aziende che si spostando da un capo all’altro dell’Italia con tendoni, forni e stoviglie. E intanto le aziende di categing non possono lavorare, le manifestazioni sono vietate, non si possono organizzare le feste di matrimonio e negli hotel sono vietati i buffet della colazione....
In un momento drammatico di crisi di consumi e di grande difficoltà dei pubblici esercizi “regolari” possiamo davvero accettare che si “riapra” un mercato in deroga da regole e normative? Un settore che colpisce soprattutto la ristorazione tradizionale e famigliare e non certo i locali fighetti le cui associazioni di rappresentanza (?) non a caso tacciono, perchè tanto non sono coinvolti. E poi si parla di unità del mondo della ristorazione...