Ormai ci siamo. Nonostante la breve quarantena dei primi due focolai di coronavirus, l’epidemia non è stata fermata e tutti gli italiani sono di fatto
blindati. Più che mai è il tempo della responsabilità. Anche chi è ottimista di natura come chi scrive non può non aggiungere il proprio timore a quello generale della gente. Non tanto di rischiare di essere contagiato, quanto della crescita esponenziale, giorno dopo giorno, di chi necessita di assistenza sanitaria mentre in Lombardia gli ospedali sono ormai saturi. Non è il caso oggi di aprire polemiche sulla gestione dell’emergenza o sulle notizie contraddittorie che circolano. C’è chi specula su questo e chi fa terrorismo o al contrario minimizza.
La
prudenza deve essere la nostra parola d’ordine. Evitare luoghi affollati, ci sta.
Avere paura di incontrare il vicino sulle scale, un po’ meno. Credo che l’esempio migliore sia quello del
professor Burioni (uno dei più qualificati infettivologi al mondo) che partecipa con serenità all’intervista in diretta con Fazio sulla
Rai. Se lui, che sa bene quali sono i rischi, si sente sicuro con una scrivania in mezzo, dovremmo tutti prenderne esempio. Non è certo il caso di
fuggire da Bergamo o Milano come hanno fatto alcuni meridionali senza dignità, ma forse neppure fare finta di nulla come si fa in molte città del Sud che, purtroppo, prima o poi dovranno
fare i conti con questo virus. Come capiterà ai
tedeschi che incredibilmente (miracolo della comunicazione addomesticata) finora non avevano registrato nemmeno un morto per il coronavirus...
Ipotizzando una chiusura di bar e ristoranti anche di giorno (che ora forse sarebbe la scelta più prudente), i lavoratori potrebbero organizzarsi con i servizi di delivery oppure con il pranzo portato da casa, magari utilizzando spunti di ricette forniti dai cuochi
L’imperativo è di stare in casa il più possibile, ma c’è anche chi deve lavorare. A parte tutto il personale sanitario (che dimostra abnegazione e preparazione assoluta), ci sono i
trasporti, i commercianti, i servizi e i produttori che non possono interrompere le loro attività. C’è poi chi può lavorare da casa, ma non dappertutto è possibile per i ritardi dell’Italia sulle reti internet ad alta velocità. In questa condizione ci siamo attivati anche noi di Italia a Tavola per seguire le raccomandazioni del Governo e cercare di garantire così da casa, con il telelavoro, la continuità della nostra informazione quotidiana che in questi giorni è concentrata sulla crisi tremenda che stiano attraversando, senza per questo non continuare a valorizzare il nostro mondo che va dalla filiera agroalimentare ai
ristoranti e hotel.
Proprio nel
comparto del turismo e dell’accoglienza registriamo oggi le ricadute più drammatiche del momento. Alberghi di grandi catene o a conduzione famigliare hanno chiuso uno dopo l’altro, e analogamente stanno facendo bar e ristoranti. Gli orari di apertura imposti dalle 6 alle 18 sono forse il punto più dolente delle misure anti epidemia. O sono luoghi “a rischio” tutto il giorno, o non lo possono essere in base all’orologio. Meglio sarebbe, in questo caso,
evitare del tutto l’apertura al pubblico e avviare attività di
delivery per quanti devono comunque mangiare perché lavorano fuori casa. E tutto è ancora più paradossale se si pensa che, tolti pochi locali, la maggior parte dei
ristoranti non hanno cucine dove è possibile evitare la promiscuità e garantire la distanza di un metro fra chi lavora. È una realtà su cui forse pochi hanno riflettuto, ma che la dice lunga su come questo comparto sia poco conosciuto o considerato a livello politico. Onestamente la soluzione migliore in questo momento (e lo diciamo contro il nostro interesse di testata di riferimento del settore) sarebbe quella di poter garantire un aiuto economico immediato a tutte queste imprese e mettere in sicurezza il personale per queste settimane di blocco attraverso la cassa integrazione. Per i consumatori si può tornare alla schiscetta e portarsi il mangiare da casa. Del resto siamo in guerra, e
à la guerre comme à la guerre.
È comunque tempo di
mangiare sano e bene. E in questo anche i cuochi ci possono dare una mano, con il
delivery ricordato o con indicazioni di ricette da fare a casa, creando così un’attesa per quando - speriamo al più presto - potremo tornare al ristorante, in pizzeria, in pasticceria o al pub brindando alla sconfitta (certa) del coronavirus.