Per l’ennesima volta ci troviamo a scrivere di
sagre. Sarà perché da anni ci stiamo battendo per una regolamentazione del settore che a parole tutti dicono di volere. Oppure perché siamo inguaribili ottimisti e non vogliamo rinunciare ad indicare motivi di speranza in un momento di crisi come l’attuale. Sta di fatto che non vogliamo abbandonare il campo e anzi rilanciamo la palla nel campo di quei politici che su questo tema preferiscono non dire nulla. Grillini, democrat o forzisti che siano, tutti inneggiano al territorio, all’enogastronomia o alle tradizioni culturali, ma poi restano impantanati nelle sabbie mobili delle parole vuote.
Eppure le
sagre tarocche da anni stanno causando danni incalcolabili all’immagine del nostro turismo ed alla filiera agroalimentare. Siamo all’ennesima estate da quando con Davide Paolini, la Fipe, la Fiepet, l’associazione delle Pro loco e alcuni esperti Italia a Tavola ha lanciato un
manifesto per le sagre autentiche. In alcuni casi ci sono stati Comuni che lo hanno adottato. In altri ristoratori che hanno fatto causa al loro Comune per danni oggettivi alla loro attività, ma nella sostanza da Governo e Regioni non è giunto nulla, se non le solite dichiarazioni di impegno generico. E per di più, stante la crisi che spinge molti consumatori ad illudersi di risparmiare qualche euro mangiando cibo preparato in cucine che non sono quasi mai a norma (e con personale in nero...), è cresciuto il numero dei frequentatori delle feste della Nutella o delle sagre degli scampi in montagna, che usufruiscono di agevolazioni e non pagano nemmeno l’occupazione di suolo pubblico.
Recentemente avevamo invitato il ministro Martina a prendere posizione, lanciando anche l’idea di permettere l’uso del termine Sagra solo alle manifestazione organizzate dalle Pro loco, le uniche titolate in qualche modo a preservare le tradizioni e a valorizzare territorio e prodotti tipici. Solo alle sagre devono essere concesse agevolazioni. Per il resto chiunque può organizzare le feste che vuole pagando le tasse dovute e rispettando le norme previdenziali e quelle igienico-sanitarie, senza eccezione alcuna.
Definire le Sagre come gli unici appuntamenti che tutelano il consumatore darebbe un forte valore di richiamo turistico, culturale ed enogastronomico a questi appuntamenti. Permetterebbe di porre un argine invalicabile ai troppi taroccamenti e imbrogli sul cibo e darebbe l’occasione, per almeno sei mesi, di offrire uno spaccato di tradizioni e prodotti agroalimentari autentici ai milioni di turisti che verranno in Italia per l’
Expo.
Senza contare che oltre ai produttori agricoli ne avrebbero un beneficio anche i ristoratori, già colpiti dal calo del potere d’acquisto dei consumatori e oggi senza protezione all’esplosione di feste e raduni dove ogni occasione è buona per allestire cucine da campo in deroga ad ogni criterio di sicurezza igienico-sanitaria, in evasione contributiva e previdenziale. Una vera e propria concorrenza sleale avallata dai Comuni e dalle Regioni, con la scusa che ad organizzare queste tavolate senza regole sarebbero per lo più associazioni di volontariato che in questo modo si finanzierebbero per svolgere le loro attività di assistenza sociale.
La verità è che l’Italia non può davvero permettersi di volere gestire un’Expo sull’alimentazione e fare mangiare senza sicurezza e in nero gli italiani, distruggendo contemporaneamente una delle poche certezze di sviluppo che ci rimangono, ristorazione ed agroalimentare. Ministro Martina, se ci sei, batti un colpo...