A ormai meno di un anno dall’avvio, Expo 2015 rischia di affondare nella palude della corruzione favorita dai contrasti fra istituzioni e forze politiche (soprattutto lombarde) che non potevano non sapere che i ritardi nelle decisioni avrebbero portato a ricorrere alle scorciatoie tipicamente italiane per eludere norme e controlli. Fra finanziarie regionali ad hoc e leggi speciali (nemmeno fossimo stati in presenza di catastrofi) si sono infatti aperti varchi alla discrezionalità dei dirigenti col risultato di dovere commissariare quasi tutti i livelli di responsabilità.
Se qualche Governo avesse sottratto per tempo le decisioni ai politici locali, forse non saremmo a questo punto, ma tant’è. Ora non resta che sperare in un pugno di ferro che tolga la gestione dell’Expo agli incapaci protagonisti delle baruffe dei mesi scorsi, dai Governatori lombardi al sindaco di Milano, garantendo trasparenza e pulizia.
C'è bisogno di sagre autenticheIl problema vero, però, è che
ora si deve riempiere di contenuti la manifestazione e, soprattutto, si deve permettere alla filiera agroalimentare italiana di cogliere le opportunità offerte da Expo. Fra le molteplici proposte sul tappeto ci permettiamo di proporre di fare diventare le “sagre” autentiche uno dei momenti di
vetrina del fuori Expo sul territorio nazionale.
Da anni siamo impegnati in una battaglia per restituire dignità e valore economico e culturale ad appuntamenti che nelle diverse località abbinano la tradizione ai prodotti tipici e alla cucina.
Lo abbiamo fatto anche con un manifesto sottoscritto 4 anni fa da molte associazioni di categoria, ma rimasto per lo più lettera morta. Il disinteresse della politica ha purtroppo fatto degradare progressivamente la situazione al punto che la gran parte delle feste popolari che si presentano come sagre sono solo occasioni per fare business scorretto (a danno di produttori onesti e ristoratori), ingrassando il sottobosco della politica grazie a frodi fiscali e previdenziali, imbrogli alimentari e mancato rispetto delle norme igienico sanitarie.
Una situazione intollerabile di cui oggi si è fatta carico anche l’Unpli, l’Unione delle pro loco (gli unici enti a cui spetterebbe di organizzare sagre autentiche), che non a caso si è attrezzata per garantire organizzazioni serie e certificate da un logo unico in tutta Italia, al punto da lanciare, in occasione di un recente convegno all’Università di Macerata, la proposta di selezionare ogni anno le migliori sagre autentiche per farne esempi di riferimento per tutti.
Ma perché questa ciclopica operazione di pulizia sia efficace, è fondamentale che a livello nazionale si stabilisca per legge che il termine sagra può essere usato solo per eventi seri e con tracciabilità di storia, di cultura e di prodotti. Solo a queste manifestazioni (che devono essere organizzate esclusivamente dalle Pro loco) dovrebbero essere concesse agevolazioni ed eventuali incentivi dai Comuni. Per il resto, dagli amici della Nutella agli scampi in montagna, ognuno può organizzare le feste che vuole. Non ci devono essere però agevolazioni e non si può usare il termine “sagra”.
La Sagra autentica tornerebbe ad essere simbolo dell’Italia delle tradizioni e dei prodotti tipici, garantendo una sicurezza ai consumatori anche in termini di vero km zero e di cucine di territorio, rappresentando fra l’altro una formidabile vetrina per i turisti e per i visitatori dell’Expo interessati a conoscere l’Italia a Tavola più autentica. Con costi quasi zero per lo Stato potremmo in pochissimo tempo bonificare il settore e garantire occasioni di sviluppo serie. Un’opinione del ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina non sarebbe sgradita.