Recuperato il bon ton che da sempre la caratterizza (salvo la vicenda dello scorso anno, dopo le parole inutili sulla rinuncia alle stelle da parte di Gualtiero Marchesi), la 'rossa” ha dato un'altra lezione di stile ai concorrenti italiani. Incurante delle sovraesposizioni mediatiche o del tifo di troppa stampa amica per alcuni ristoratori, ha tirato fuori dal suo cilindro (confermando peraltro le anticipazioni che avevamo dato nei giorni scorsi) un nuovo ristorante a tre stelle, portando così a sei il numero dei migliori locali italiani che piacciono alla guida francese. Ancora troppo pochi per rappresentare al meglio la realtà della Cucina oggi più importante al mondo, che supera nelle preferenze internazionali quella francese e che non ha di fatto rivali con quelle spagnole o asiatiche, anzi perde solo punti quando tende a scimmiottarle. Ma le tre stelle al bergamasco Da Vittorio della famiglia Cerea rappresentano certamente un riconoscimento a tutta la ristorazione italiana vera e di questo va dato atto alla Michelin che, nel cominciare ad allargare i cordoni della sua stringatissima borsa (almeno per le tre stelle), ha scelto il meglio. Con interessanti segnali anche per le altre stelle assegnate, due o una che siano.
Una scelta condivisibile al 100% e che piace a molti ristoratori italiani perché i Cerea sono una famiglia vera e autentica. Sono gente seria, dediti come pochi a un lavoro faticoso, ma stimolante e capace di entusiasmare, uniti e in gara positiva fra di loro a chi lavora meglio per il bene del ristorante. E, soprattutto, riservati, modesti e lontani da ogni luce della ribalta, con l'unico obiettivo di migliorarsi e rendere omaggio a Vittorio, il fondatore, che da garzone di bottega ha creato dal nulla un ristorante che oggi figura fra i primi al mondo grazie al lavoro che hanno proseguito la moglie e i figli, che non a caso dedicano a lui le meritatissime tre stelle.
Ma Da Vittorio non è solo un ristorante importante e simbolo della buona Cucina italiana. Le tre stelle conquistate superando concorrenti ben più pretenziosi e sponsorizzati come pochi, rappresentano in qualche misura quella sorta di scarto che la Michelin ha voluto dare alle altre guide italiane che non hanno il coraggio di osare. Chicco e Bobo Cerea (al pari di tanti altri colleghi in tutta Italia) avrebbero meritato da tempo di essere ai primi posti nei giudizi, ma così non è. Con questa scelta la 'rossa” mette allo scoperto l'incapacità delle guide italiane di leggere nel concreto la realtà dell'alta ristorazione italiana, fatta sì di ricerca e innovazione, ma senza eccessi e con i piedi ben saldi in quella terra sicura che è la tradizione e l'attenzione alla qualità delle materie prime. Basti pensare che, tolto L'espresso, che gli dà un buon punteggio, i guidaioli italiani lasciano Da Vittorio in zona medaglia d'argento (come succede da anni ad un altro tristellato, Al Sorriso). Al punto che nella classifica virtuale ottenuta interpolando solo i dati delle guide "italiane" Da Vittorio non figurerebbe fra i primi 20 locali più importanti. E aggiungendo ora le tre stelle salirebbe comunque solo alla 15ª posizione. Una conferma in più, se ancora ce ne fosse bisogno, che di molte guide italiane se ne può fare davvero a meno...
Ci resta il rammarico che non ci siano altre tre stelle, che pure sarebbero state meritatissime (Aimo Moroni o Alfonso Iaccarino, solo per fare due nomi di grandi maestri), ma il fatto che la Michelin cominci, sia pure timidamente, a schiodarsi dal blocco che aveva creato negli ultimi anni ci sembra un fatto positivo. Confidiamo che la strada continui, magari più speditamente, nelle prossime edizioni. Solo così sarà possibile superare le riserve che restano ancora tante e che sono in fondo rilanciate anche dal gesto di un altro grande Maestro, Ezio Santin, che sia pure senza alcuna polemnica ha annunciato di voler rinunciare alle stelle. Un esempio che si rifà a quello di Gualtiero Marchesi.
Alberto Lupini
alberto.lupini@italiaatavola.net
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