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La movida milanese non c'è più Locali divisi: chiudere o rilanciare?

Il decreto che impone limiti severi alla vita notturna ha messo in crisi i locali che animano i Navigli milanesi. Qualcuno vede nero e pensa alle chiusure, altri invece si rimboccano le maniche.

 
15 ottobre 2020 | 17:32

La movida milanese non c'è più Locali divisi: chiudere o rilanciare?

Il decreto che impone limiti severi alla vita notturna ha messo in crisi i locali che animano i Navigli milanesi. Qualcuno vede nero e pensa alle chiusure, altri invece si rimboccano le maniche.

15 ottobre 2020 | 17:32
 

A Milano il Dpcm del 13 ottobre, quello che tutti gli operatori della ristorazione e del turismo attendevano e temevano, quello delle sanzioni rinforzate e della chiusura alle 24 (21 se non c’è il servizio al tavolo) di bar e ristoranti, è sbarcato su una rete fluviale urbana già abbastanza indebolita: i Navigli. Si tratta dei luoghi, nuovi e seminuovi, della movida meneghina, che al di fuori dei Navigli attraversa le strade e le piazze di Milano Porta Nuova, corso Garibaldi, corso Como, piazza Gae Aulenti; ma si trova decisamente a casa sua in Ripa di Porta Ticinese, via Ascanio Sforza, Darsena e Alzaia Naviglio Pavese.

Navigli svuotati dal decreto - La movida milanese non c'è più Locali divisi: chiudere o rilanciare?

Navigli svuotati dal decreto

È una toponomastica che fa subito pensare al mondo un po’ mitizzato dei corsi d’acqua milanesi, costellato di localini dove si fa musica dal vivo, ci si introduce al rito laico dell’“ape”, si mangia nella trattoria tradizionale, nel bistrot o nel ristorante di gran classe, si tira tardissimo seduti a degustare un cocktail. I Navigli della Milano da bere fino all’altro ieri hanno accolto una folla imponente, tanto che bisognava camminare lentamente per non urtarsi. Tutto questo, da marzo 2020, è ormai un ricordo: dopo una ripresa settembrina appena accennata, e accompagnata da un coro di invettive private e pubbliche, siamo di nuovo alla stretta. Nell’immediato post-decreto una drastica riduzione dei flussi di passeggiatori e consumatori milanesi (turisti no: quelli sono quasi scomparsi) è scontata, e ciò per prudenza, paura, impoverimento, abitudini che cambiano, riflesso automatico da lockdown: sto a casa, chi me lo fa fare, l’alzaia vuota è pure triste, meglio non fidarsi. Dal lato avventore è questo il mood, per dirla col dialetto milanese di ultima generazione.

E dal lato trattore, oste, barman, chef, pizzaiolo, maître e cameriere? Questo piccolo esercito di professionisti, che nei Navigli aveva trovato qualcosa di vagamente somigliante alla Terra Promessa, come si salva dalla piena? Costituita non dalle acque fluviali ma da proclami più o meno minacciosi, seguiti da norme precise, o magari anche vaghe e fumose, che continuano a piovere sulla testa di tutti.

Ci sono diverse tipologie di reazione alle emergenze, e bisogna considerarle attentamente. Della reazione negazionista non ci occupiamo, perché se ne parla già troppo e perché è poco seria, oltre che pericolosa. Ma potremmo cominciare dall’atteggiamento di accorata preoccupazione, che abbiamo riscontrato intervistando Valeria Armanni, titolare dell’Ugo Cocktail Bar, sul Naviglio Grande. «Il danno da chiusura anticipata c’è - chiarisce Valeria - e va a incidere in una situazione già difficile: dopo il lockdown il fatturato era lentamente risalito, fino a superare il 50% del normale, ora le lascio immaginare cosa succederà. In un crescendo di contagi e di notizie allarmanti siamo arrivati alla serata di ieri: il locale era deserto, sul tardi, e in strada le persone si potevano contare. Noi lavoravamo fino alle 2.00, normalmente, con la chiusura alle 24 tutto il dopo-cena è tagliato via. Eppure nel mio locale eravamo riusciti a mantenere le distanze e a imporre un minimo di disciplina: non si vedeva più la folla dei tempi d’oro. Non sappiamo bene come orientarci in questo caos, forse terremo aperto lunedì sera, giorno di chiusura, altre soluzioni le stiamo immaginando ma, per esempio, non possiamo ampliare l’offerta e partire con la caffetteria: non ci sono gli spazi. Dobbiamo tutti augurarci che non si diffonda il panico, e qui sono i media a dover fare la loro parte: il terrorismo psicologico non giova a nessuno, e ne ho visto e sentito già troppo».

Parzialmente diversa, ma comunque improntata al grigio, è la riflessione “disincantata” di Alessandro Pasqualotto, titolare dell'Officina 12, sempre sull’Alzaia Naviglio Grande: un ristorante con Gin bar annesso, in cui le possibilità di variare il servizio e l’offerta sono concrete. «Abbiamo spazi adeguati - spiega Alessandro - e perciò possiamo barcamenarci fra ristorazione e mixology, grazie al nostro Gino12, il bar interno che offre una selezione imponente di drink basati sul gin, in tutte le sue espressioni. Ma il danno da orario ridotto è concreto anche per noi, perché i conti non tornavano già prima del decreto, ed ora si può dire che piove sul bagnato. Dovremmo convincere la clientela che i tempi sono cambiati e bisogna ridisegnare gli orari dell’aperitivo, della cena e del dopo, almeno finché l’epidemia non venga sconfitta. Questo in linea di massima: ma se la gente percepisce il pericolo e non esce più di casa puoi avere tutta la flessibilità e gli spazi che vuoi, e non riempirli neanche al 10%. Se si fa un giro sulle alzaie, capirà subito che a Milano della movida si parla al passato: non c’è più, in estate abbiamo visto un po’ di movimento solo nel fine settimana. I Navigli sono tornati alla situazione di vent’anni fa, e vorrei ricordare che era una zona malfamata».

Per qualcuno le restrizioni sono un'occasione - La movida milanese non c'è più Locali divisi: chiudere o rilanciare?
Per qualcuno le restrizioni sono un'occasione

In questo panorama di incertezze, a Milano c’è anche chi si impunta, e ha una reazione “scalpitante”: parliamo di Flavio Angiolillo, uno che del cocktail bar ha fatto una missione, e ne ha già aperti e gestiti parecchi. Tra gli altri, anche il Mag Café, in Ripa di Porta Ticinese, colpito anche lui dal Dpcm. «Ma non mi sembra in caso di stare troppo a lamentarsi - precisa subito Flavio - non mi piacciono quelli che sanno solo lagnarsi: non è così che cambiano le situazioni. Gli orari si riducono? E noi ci inventiamo la merenda alcolica, che so io, oppure penseremo a qualcos’altro. La chiusura anticipata per ora è un danno, ma può trasformarsi in un’opportunità: aiutare a convincere i milanesi che bisogna anticipare anche l’aperitivo, la cena, il drink serale. Io dico che anche bartender e ristoratori devono fare la loro parte, perché se tutti ci adeguiamo il cambiamento non sarà un trauma. Dobbiamo muoverci, perché chi si ferma è perduto: io ho la possibilità di agire su più locali, e ho visto che i clienti hanno reagito bene alle nostre proposte. Quando, ad esempio, abbiamo riorganizzato gli spazi esterni, distanziando bene le postazioni, si sono sentiti rassicurati e hanno ripreso a frequentarci con entusiasmo. In qualche caso abbiamo persino visto un aumento di fatturato. È questo che mi incoraggia: un lato positivo dove guardare bisogna sempre trovarlo».

Notevole, questa interpretazione, agevolata dal fatto che Angiolillo può mettere il piede in più scarpe/locali, e sperimentare la soluzione più calzante. Ma è doveroso, ovviamente, analizzare anche la situazione statica, quello di chi ha un solo punto di somministrazione e per di più tradizionale: e quindi passiamo alla ristorazione, che la sua visione un po’ “filosofica” la affida all’esperto Nicola Valentini, titolare del tipico “Mieru Mieru” di via Magolfa. E cosa c’è di più tipico di un ristoro pugliese (anzi, tarantino) a pochi passi dal Naviglio Pavese? «Cosa cambia la chiusura anticipata? Non molto, in verità - racconta Nicola, con l’aria di uno che sopporta con pazienza - prima del decreto chiudevamo all’una di notte, ora dovremo anticipare un po’ e ci torna anche comodo: la cucina chiude comunque alle 23, e la nuova situazione ci consente di andare a casa un po’ prima. Io spero che questo influenzi le abitudini delle persone, e le convinca a cenare senza tirare tardi. Da parte nostra, ci stiamo organizzando per mangiare in due turni: per il momento altre scappatoie non ne vedo. La situazione generale preoccupa anche me, perché dover scegliere tra dichiarare fallimento e prendersi il Covid-19 è una scelta terribile, che nessuno vorrebbe affrontare. Ma non abbiamo tante vie di fuga. Io sono nella ristorazione da 50 anni, ne ho viste di tutti i colori, e sono convinto che questa crisi si affronta soprattutto col nostro senso di responsabilità, e mi riferisco a baristi e ristoratori: siamo noi per primi a dover impedire gli affollamenti».

Il senso di responsabilità non lo aveva ancora tirato in ballo nessuno, e fa piacere che il meno giovane di tutti, il filosofico Valentini, se ne sia ricordato. Ma siamo convinti che anche il preoccupato, il disincantato e lo scalpitante abbiano le loro ragioni, perché l’emergenza attuale è senza precedenti, e sarebbe irragionevole ascoltare Tizio e non Caio, come pure minimizzare le paure di chi si trova di fronte al capestro di cui sopra: fallire o ammalarsi. Convincersi che c’è altro, oltre a questo bivio, non è semplice, ma bisogna provare a farlo, col buonsenso e la creatività che tutti i barman e i ristoratori si ritrovano nel pedigree: altrimenti non avrebbero scelto un mestiere così difficile.

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