Pizza sempre più vicina alla tutela Unesco Pecoraro Scanio: Tradizione da difendere

19 maggio 2016 | 14:33
Rappresenta un successo non solo per Napoli, ma per l’Italia intera, il record della pizza più lunga del mondo (1.853,88 metri) realizzato sul lungomare di Napoli nella giornata di ieri, 18 maggio. L’obiettivo dell’iniziativa era sostenere la candidatura dell’arte dei pizzaiuoli napoletani come Patrimonio immateriale dell’Unesco, per la quale è stato già raccolto un milione di firme in tutti i continenti.

Il record è stato stabilito proprio nel giorno della pubblicazione della richiesta italiana di riconoscere definitivamente il nome “Pizza Napoletana” come denominazione di Specialità tradizionale garantita (Stg), da tutelare contro imitazioni e falsi. Una necessità per allungare la protezione della denominazione conquistata dall’Italia nel 2009 oltre il termine del 4 gennaio 2023 previsto dalle norme.



Di pizza si è parlato nei giorni scorsi anche a Paestum (Sa), in occasione del congresso nazionale di Euro-Toques Italia, che ha scelto di focalizzare la due giorni (16-17 maggio) sul tema della sana alimentazione e sul ruolo fondamentale dei cuochi nella valorizzazione della Dieta mediterranea, di cui anche la pizza fa parte. «Sono anni ormai - ha sottolineato Alfonso Pecoraro Scanio (nella foto sotto), presidente della Fondazione UniVerde ed ex ministro dell’Agricoltura - che sto cercando di tutelare quella che è una verità storica: il fatto che è dall’arte della pizza napoletana che nasce quella che tutti conosciamo. Quel disco lievitato con sopra il pomodoro e la mozzarella è la pizza nata a Napoli. E quindi era giusto stabilire questo e che quindi l’arte della pizza napoletana dovesse diventare un Patrimonio immateriale dell’umanità, perché ci sono realtà, per esempio negli Stati Uniti, che sostengono che la pizza sia nata a Chicago. Perciò dobbiamo prima di tutto riconoscere la realtà storica. La lista dei beni immateriali dell’Unesco in realtà tutela o cose che si stanno estinguendo, perché sono scomparsi gli ultimi artigiani, o prodotti come la pizza - che è il prodotto più venduto, più diffuso e più conosciuto del pianeta (è anche la parola italiana più conosciuta al mondo) - che rischia di scomparire come tradizione per l’eccesso di globalizzazione perché se ne perde, essendo diventata così diffusa, la radice storica, l’originalità. Parliamo di una pizza fatta a regola d’arte, con prodotti veri, genuini, tipici».

Quello della pizza è un business che vale 10 miliardi di euro all’anno. Un settore in cui trovano occupazione almeno 100mila lavoratori fissi, ai quali se ne aggiungono altri 50mila nel fine settimana. Ogni giorno solo in Italia si sfornano circa 5 milioni di pizze, anche se i maggiori consumatori sono gli Stati Uniti, che fanno registrare il record mondiale dei consumi con una media di 13 chili per persona all’anno, quasi il doppio di quella degli italiani, che si collocano al secondo posto con una media di 7,6 chili a testa. Una domanda che, secondo i dati forniti da Coldiretti, nelle circa 63mila pizzerie e locali per l’asporto, taglio e trasporto a domicilio dà lavoro complessivamente ad oltre 150mila persone. Non è un caso che oggi il 39% degli italiani ritiene che la pizza sia il simbolo culinario dell’Italia, secondo un sondaggio del sito www.coldiretti.it, e che “pizza” sia la parola italiana più conosciuta all’estero (8%), seguita da “cappuccino” (7%), “spaghetti” (7%) ed “espresso” (6%), secondo un sondaggio online della Società Dante Alighieri.


Alfonso Pecoraro Scanio (foto: italiafoodballclub.it)

«La tutela dell’Unesco - ha aggiunto Pecoraro Scanio - serve a difendere la verità e la tradizione storica e a fare in modo che tutti gli amanti della pizza, che ormai son milioni nel mondo (non parlo dei “consumatori”, che sono miliardi), vengano a Napoli o almeno in Italia per imparare a fare la pizza a regola d’arte nel luogo di nascita della pizza stessa, così come noi andiamo a Londra se vogliamo imparare l’inglese. È vero che le tutele sono tante, ad esempio l’Stg, Specialità tradizionale garantita, riconosciuta dall’Unione europea, e bisogna fare in modo che quel marchio venga efficacemente utilizzato e tutelato. E poi la tutela riguarda anche l’origine dei prodotti, e questo vale per tutto. Bisogna cioè sapere che se vogliamo fare una pizza con il San Marzano c’è il San Marzano Dop, se vogliamo usare la mozzarella c’è la mozzarella Dop, c’è il fiordilatte che ha una denominazione, ci sono gli oli extravergini di oliva, ci sono le farine... Quindi tutti gli ingredienti possono essere ingredienti di qualità».

La pizza è senza dubbio il prodotto gastronomico made in Italy più conosciuto al mondo, un vero e proprio simbolo dell’Italia, frutto di un’arte secolare minacciata da una globalizzazione che rischia di reciderne le radici culturali e che merita, quindi, il riconoscimento da parte dell’Unesco, tanto da aver ottenuto, grazie alla grande mobilitazione di cittadini e personalità di tutto il mondo e all’impegno del Governo italiano, la candidatura ufficiale da parte della Commissione nazionale italiana Unesco nel marzo 2015 poi ripresentata nel marzo 2016. La world petition #pizzaUnesco ha avuto il sostegno di molte istituzioni culturali e sociali, organizzazioni, professionalità e personalità con eventi in tutto il mondo: da Londra a New York, da Buenos Aires e San Paolo a Las Vegas, fino al Giappone e all’Australia.



«I pizzaioli - ritiene Pecoraro Scanio - stanno diventando sempre più quello che sono diventati gli “chef” negli ultimi tempi. Prima c’erano i cuochi che non erano “chef”, così come prima c’erano i pizzaioli che non avevano consapevolezza di avere una capacità artigianale che permette di realizzare pizze a regola d’arte facendole diventare qualcosa di esclusivo. Ogni pizza è maneggiata singolarmente, cotta singolarmente e servita singolarmente. Poi, come tutte le cose, ci saranno i pizzaioli più bravi e quelli meno bravi. Noi cerchiamo di lavorare perché almeno sia riconosciuta nella lista mondiale dell’Unesco questa tradizione e più di un milione di persone hanno già firmato in tutto il mondo, 150mila soltanto in Giappone per esempio. Quindi si tratta di una richiesta che viene da tutti i cittadini del pianeta».

L’arte dei pizzaiuoli napoletani sarebbe il settimo “tesoro” italiano ad essere iscritto nella Lista rappresentativa del Patrimonio culturale immateriale dell’Unesco. L’elenco tricolore comprende anche l’Opera dei pupi (iscritta nel 2008), il Canto a tenore (2008), la Dieta mediterranea (2010), l’Arte del violino a Cremona (2012), le macchine a spalla per la processione (2013) e la vite ad alberello di Pantelleria (2014). Accanto al patrimonio culturale immateriale, l’Unesco ha riconosciuto nel corso degli anni anche un elenco di siti, e proprio l’Italia è lo Stato che ne vanta il maggior numero a livello mondiale. Significativamente però gli ultimi elementi ad essere iscritti negli elenchi (pensiamo allo Zibibbo di Pantelleria e alla Dieta mediterranea) fanno riferimento al patrimonio agroalimentare made in Italy, a testimonianza della sempre maggiore importanza attribuita al cibo, non a caso scelto come tema dell’Expo 2015.

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Alberto Lupini


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