Le Guide dedicate ai ristoranti, sempre più autoreferenziali e lontane dal pubblico, tornano a dare giudizi, così come alcune celebri classifiche internazionali che usano criteri di valutazione arbitrari.
Il miglior cuoco al mondo? “
Massimo Bottura”, risponderà subito chi si affida a
The World’s 50 Best Restaurants. Per chi invece si rifà a
The Best Chef Awards è lo spagnolo Joan Roca, che mette ben 7 posizioni fra lui e il campione italiano. Chi ha ragione? Probabilmente nessuna delle due classifiche, costruite su falsi presupposti di meriti e di confronti impossibili da fare. Sia Bottura che Roca sono senza dubbio fra i cuochi più famosi e innovativi al mondo. E certamente fra quelli con più talento. Ma non sono i soli, mentre ci chiediamo quali possano essere i criteri oggettivi per stilare classifiche arbitrarie e che lasciano il tempo che trovano.
In primo luogo perché è materialmente impossibile che i curatori di queste classifiche possano conoscere tutti i cuochi in gara. Nemmeno vivendo praticamente in aereo e in giro per il mondo si potrebbero visitare tutti i ristoranti. Il lavoro è fatto da critici di area, scelti - non si sa bene su che basi - per rappresentare i gusti e le tendenze mondiali (?). In secondo luogo sono troppi gli interessi di sponsor e brand in campo e analogamente sono troppi gli stili di cucina e i gusti dei consumatori nel mondo per pensare di essere davvero capaci di sintesi così precise.
L’unica possibilità per tentare di rappresentare sul serio l’eccellenza della Cucina internazionale sarebbe quella di selezionare un gruppo di grandi cuochi che nei rispettivi Paesi rappresentano davvero le punte di maggior valore. Una sorta di super selezione, per intenderci, fatta sui tristellati nel mondo. Ma certo, questo bagno di realismo farebbe cadere molte aspettative di quel circo mediatico che si è ormai creato attorno ai cuochi e di cui, francamente, non se ne può più.
Siamo ormai a riti vuoti e privi di interesse reale in cui si gioca solo al grande circo della cucina, dove ciò che viene creato ai fornelli, il gusto, il piacere e la salubrità cedono il passo al marketing e alla pura immagine. Una sorta di
panem et circenses con cui offrire un po’ di spettacolo al pubblico. Dei valori della tavola e del benessere importa a pochi in questa logica. Come pure delle tradizioni, della qualità e della territorialità.
Ritorniamo su cose scontate perché in questi giorni è cominciata la “danza” delle Guide italiane. Un rito che da tempo ha perso smalto, ma che continua ad essere alimentato più per autoreferenzialità che interesse del pubblico. I primi fuochi d’artificio li ha sparati
l’Espresso, con il consueto codazzo di polemiche per vistosi errori e per il perdurare di un atteggiamento da
maestrine con la penna rossa per cui ciò che conta è fare classifiche, non consigliare i consumatori. Se per far questo si risulta di manica più stretta della Michelin, poco importa, basta sentirsi in cattedra e promuovere solo 7 ristoranti col massimo dei voti. Quasi che in Italia a fare alta cucina non ce ne siano a decine...
Una scelta ancor più limitante di quanto fa la “Rossa” per eccellenza, che pure da francese ha l’interesse a tenere bassa la qualità percepita della nostra Cucina. E sarà proprio la Michelin come al solito a chiudere la saga delle Guide coi punti. Un appuntamento che ad oggi suscita una sola curiosità: inserirà finalmente qualche pizzeria fra i locali stellati? Se nel mondo ci sono quelli che fanno solo sushi, ci stanno alla grande anche i nostri maestri pizzaioli, attività che fuori dall’Italia ha già delle stelle... E nel caso non ne basterà una, tanto per dare un piccolo segnale. La mancanza di stelle alle pizzerie sarebbe un nuovo colpo alla credibilità di un sistema che ha ormai fatto il suo tempo e che con “classifiche” quanto meno discutibili ha aperto la strada a mostri come
TripAdvisor e affini.