Uno dei primi effetti dell’esito del
referendum costituzionale è che in molte materie continuerà, anzi probabilmente peggiorerà, il
fai da te di ogni Regione. Già oggi in molte materie ci sono normative che danno l’idea di vivere in Stati diversi. Fra il Trentino e la Sicilia, complice anche l’autonomia spinta di questi territori, ci sono quasi più leggi diverse che non fra chi vive a Milano o ad Amburgo.
Dalla sanità alle guardie forestali è un fiorire di distinguo che non aiutano certo né le imprese, né i cittadini. Pensiamo solo alle più recenti aberrazioni di regioni dove sono obbligatorie le vaccinazioni dei bambini per essere ammessi all’asilo, e quelle invece dove la demagogia o le false informazioni in tema di salute rendono volontari atti delle famiglie che hanno poi riflessi su tutta la comunità.
In questo momento ci limitiamo a segnalare l’assoluta necessità di un’armonizzazione legislativa rispetto ad un comparto che tutti definiscono strategico per il Paese (il
turismo), ma che a conti fatti non sa esprimere una strategia ed una
promozione realmente a vantaggio di tutto il Paese.
Lo Stato, attraverso il ministero dei Beni culturali, il cui responsabile (
Dario Franceschini) è rimasto al suo posto nel cambio di Governo, ha cercato negli ultimi tempi di
garantire una svolta (dalla riforma delle sovrintendenze alle nomine in importanti musei). Ma le scelte di fondo che incidono sui flussi e sui sistemi di accoglienza restano diversificate e in balia delle scelte che si possono fare nei consigli regionali a Bologna come a Torino o a Napoli.
Il risultato è che ad oggi diventa difficile parlare di una
politica turistica seria che coinvolga realmente e in modo efficace tutti i veri protagonisti del mondo dell’accoglienza (bar, ristoranti, pizzerie, pasticcerie, agriturismi e alberghi). O meglio, a seconda delle diverse regioni, può capitare che ci siano più attenzioni verso uno di questi comparti a danno di altri. Bastino alcuni esempi: in alcune regioni gli
agriturismi godono di tutele forse eccessive e in altre gli hotel non possono aprire al pubblico i loro ristoranti. Situazioni che pongono obiettivamente problemi di vincoli alla
libera concorrenza o comunque eccessi di tutela per qualcuno. Per non parlare di questioni assolutamente di fondo come le sagre, dove per ogni regione ci sono situazioni diverse.
E che dire, infine, di quelli che stanno diventando vere e proprie bombe ad effetto ritardato di cui sindacati di imprese e istituzioni hanno forse sottovalutato in passato gli effetti sul sistema?
Home restaurant e B&B sono le due realtà che da questo punto di vista rischiano di rendere ancora più debole l’immagine del turismo italiano.
È vero che anche in altri Paesi queste attività si sono sviluppate, ma lo hanno fatto entro paletti ben precisi, in cui controlli fiscali, di sicurezza e igienico sanitari sono definiti. Pensiamo alla Francia, o alla Spagna o alla Germania. Da noi tutto è lasciato alle diverse iniziative delle singole regioni. E che dire della sciocchezza fatta da Renzi che aveva escluso di istituire una
cedolare secca che avrebbe permesso di evitare il troppo nero che c’è in queste attività?
Ora la strada è in salita e le imprese devono organizzarsi regione per regione. In Toscana, che sul turismo in genere è un passo avanti ad altre aree, si sta definendo la
nuova legge regionale sul turismo e Confcommercio, Confesercenti e Confindustria (in uno dei rari casi in cui si muovono insieme) hanno siglato congiuntamente un documento in cui invitano la Regione ad effettuare i necessari controlli sulle gestioni delle diverse attività, così da ridurre le occasioni di
evasione e garantire servizi più efficienti. Speriamo…