L’associazione italiana Ambasciatori del gusto, presentata di recente nella sede del ministero delle Politiche agricole, si propone come la prima associazione che riunisce l’eccellenza della ristorazione italiana in un’unica realtà aggregativa con l’obiettivo di far sistema. Non è la prima volta che all’interno delle associazioni di ristoranti si sente pronunciare questa frase, peccato la realtà sia ben diversa.
E a proposito, in un momento di grande sovraesposizione dei cuochi e della cucina in generale non si può non notare che gli stessi cuochi sono ormai “associati” in parallelo in diverse associazioni: Le Soste, Giovani Ristoratori, Chic, e poi ci sono quelli del Buon Ricordo, o ancora la Fic-Federazione italiana cuochi, l’Apci di Sonia Re, quelle regionali, insomma un numero infinito di aggregazioni tutte con scopi simili, ma tutte invidiose l’una dell’altra. Certo perché in ballo ci sono le sponsorizzazioni delle aziende del settore.
Sembra che la mission della nuova associazione sia sostenere, coerentemente con le proprie finalità, le azioni delle Istituzioni volte alla valorizzazione e alla promozione della cucina italiana; rafforzare la cultura e la consapevolezza delle potenzialità del patrimonio agroalimentare italiano; studiare e promuovere percorsi di riconoscimento che tutelino il consumatore.
Forte della benedizione del ministero delle Politiche agricole, sembra che quest’ultima associazione abbia scoperto l’acqua calda. Tutto giusto e molto bello, già, ma gli altri dove sono? Sono anni che i cuochi si propongono come custodi e testimoni del territorio, sono anni che sudano e lavorano perché questo accada, anche negli angoli più sperduti del nostro paese, ci sono centinaia di cuochi che senza i riflettori puntati fanno questo ogni giorno.
Gli Ambasciatori del gusto non sono i primi che provano a raggiungere questi obiettivi, l’unica differenza rispetto ad altre associazioni di categoria e che lo fanno in qualità di élite, molto privata. Paolo Marchi ci provò già anni fa con “I Cavalieri della Tavola”, considerata élite delle élite, di base con gli stessi attori che oggi appartengono agli Ambasciatori del gusto.
Club privato
Ebbene non si tratta di una associazione aperta a tutti; vi si accede attraverso un meccanismo di esame e presentazione. Lo statuto dice: «L’ammissione degli associati ordinari avviene su proposta di almeno un associato fondatore e previa presentazione della domanda di ammissione, sottoposta a deliberazione del consiglio direttivo».
Paolo Marchi, patron di Identità Golose ci riprova quindi; non gli basta il successo di della manifestazione di cui è fondatore, vuole ancora di più, e chiama a raccolta i suoi fedelissimi, per “far sistema” o almeno così dicono. In Italia ci sono oltre 120mila ristoranti, quelli recensiti dalle guide nazionali sono circa 4mila, di questi circa 300 sono gli stellati. Non rappresentano sicuramente l’intera ristorazione italiana, almeno in termini numerici; sono la punta di diamante della qualità, sicuramente, anzi forse, perciò di quale sistema parla la nuova associazione? Per ora gli associati sono 99, e gli assenti sono tanti.
Al momento la realtà dice che c’è una plateale sovrapposizione tra gli “Ambasciatori del gusto” e Identità Golose. Gli chef sono gli stessi spesso ospitati sul palco dell’evento, e lo stesso si può dire di quelli che non sono stati inclusi. Ma è soprattutto la figura di Paolo Marchi a legare le due entità. Si tratta di un evidente conflitto di interessi, poiché è a capo di entrambe.
Nel gruppo di fondazione, della nuova associazione degli Ambasciatori del gusto, ci sono molti giornalisti gastronomici, in qualità di onorari, benemeriti, insomma a far le “belle figurine”: Enzo Vizzari, Luigi Cremona, Edoardo Raspelli, Marco Bolasco, Luciano Pignataro, Andrea Griffagnini ed altri ancora, tutti giornalisti che, a vario titolo recensiscono ristoranti per guide e quotidiani, e ora cosa succederà? I ristoranti aderenti allo stesso gruppo otterranno punteggi più alti? E chi non è nel gruppo? Cosa succede nella ristorazione, perché cuochi e ristoratori accettano questa promiscuità professionale? Perché questo conflitto di interessi ha ricevuto il benestare di un Ministero?
Perché gli altri giornalisti non sono presenti? Penso ad Alberto Schieppati, Paolo Massobrio, Davide Paolini, Marco Gatti, al direttore di Italia a Tavola Alberto Lupini, e altri ancora, penso a quel Valerio Visintin del Corriere della Sera, coraggioso a denunciare tutto questo. Questi personaggi saranno antipatici a Paolo Marchi? No, forse la verità è più semplice, quasi tutti questi personaggi gestiscono eventi simili a Identità Golose e il rischio di perdere sponsor e partner è molto grosso per lo stesso Identità Golose. Creare qualcosa che faccia bene al settore, alla ristorazione italiana, al Made in Italy è sicuramente positivo, ma ci vuole trasparenza e capacità vera di aggregazione, capacità di dialogo, capacità di fare sistema con tutti e non solo con gli amici.
Poche decine di cuochi d’alto bordo non rappresentano né l’immagine, né le istanze, né la sostanza commerciale della ristorazione italiana. Nella speranza che il Ministro Martina si accorga di dovere rappresentare tutto il settore e non solo una parte, speriamo, o almeno spero che anche i cuochi si rendano conto che il vero bene è rappresentato dal cliente, dall’ospite, che cerca, crede e spera di ricevere una testimonianza e un’emozione che possa ricordare per sempre. Invece, purtroppo tanti cuochi credono che ottenere una nuova “patacca” sulla giacca bianca di lavoro sia un ulteriore passo verso il successo.