Anche Valerio Massimo Visintin, giornalista e critico gastronomico del Corriere della sera, si è espresso in maniera molto critica sul 2° Forum della cucina italiana, l’incontro organizzato la scorsa settima ad Expo dal ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina, che in quella sede ha firmato il “Food Act”, un piano di azioni per la valorizzazione della cucina italiana.
Come ha evidenziato nell’ultimo editoriale il direttore di Italia a Tavola, Alberto Lupini, «in tanto sforzo di novità e riforma c’è solo un neo, che non è di poco conto. Nell’elaborazione e nella condivisione dell’intero progetto è mancato il coinvolgimento del soggetto più importante: la Federazione italiana cuochi, unica realtà riconosciuta a livello istituzionale come rappresentante dei professionisti del settore, nonché l’unica che è da tempo impegnata per ottenere il riconoscimento e la certificazione della figura del cuoco».
Credito foto: Corriere della sera - Milano
E come la Fic, sono stati esclusi anche tanti grandi nomi di cuochi e altre importanti associazioni di categoria, come Euro-Toques International, ad oggi l’unica associazione di chef voluta, riconosciuta e approvata dall’Unione europea. Per questo sul Forum sono piovute forti critiche da più parti, dal presidente Fic Rocco Pozzulo al presidente di Euro-Toques International Enrico Derflingher, dal presidente regionale Fic Lazio Alessandro Circiello al coordinatore e presidente onorario Gvci-Itchefs Rosario Scarpato.
Come sottolinea Visintin nel suo articolo, pubblicato oggi, dal titolo “Conflitti marchiani”, «non mi pare né logico né previdente assegnare un vantaggio gerarchico ai grandi chef, come se fossero i depositari della verità gastronomica e imprenditoriale [...], soprattutto perché incarnano una minima porzione, elitaria e circoscritta, della ristorazione italiana. Che è un’infinita anagrafe di imprese, altrettanto rappresentative della nostra cucina e non meno informate sui fatti».
Inoltre, nella conclusione dell'articolo, Visintin fa un affondo al curatore di Identità Golose, Paolo Marchi (nella foto qui accanto), incaricato dal Ministro di coordinare la scelta dei cuochi partecipanti al Forum. Secondo Visintin, il ruolo di Marchi perde di credibilità nel momento in cui si considera che Nestlè, attraverso S.Pellegrino, è sponsor di Identità Golose e partner di Identità Expo, entrambe creature del commissario tecnico ministeriale.
Analogamente, a marzo di quest’anno, in occasione del primo Forum, anche Matteo Scibilia, cuoco e responsabile scientifico di Italia a Tavola, aveva espresso perplessità sul ruolo e sull’incarico affidato a Marchi: «Se Paolo Marchi (creatore di Identità Golose, l’evento forse più di tendenza del settore, ma comunque privato e da business, che in parte rappresenta una casta o una lobby) è riuscito a portare dinanzi ad un Ministro i cuochi, possiamo anche riconoscergli un merito, ma il metodo proprio no. Non più tardi di qualche settimana fa in occasione dell’ultima edizione di Identità Golose, proprio Marchi aveva tuonato contro l’incapacità dei cuochi di fare gruppo. Ma non appena l’occasione si è presentata...».
Condividiamo e rilanciamo, quindi, la domanda posta da Visintin: Paolo Marchi è davvero credibile nel ruolo che gli è stato ritagliato? Non è forse troppo vincolato da conflitti di interesse?
Per la sintonia con quanto sostenuto da Italia a Tavola, riportiamo qui di seguito l’articolo integrale di Valerio Massimo Visintin tratto dal blog “Mangiare a Milano” del Corriere della sera.
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In attesa di atti più concreti, mi ero ripromesso di evitare commenti circa le vicende del Forum della cucina italiana, salotto di chef d’alto bordo, istituito su iniziativa del ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina. Ma sono un uomo sbagliato e non riesco a tacere.
Ho già manifestato preoccupazione per la scelta di affidare l’incarico di selezionatore degli chef a Paolo Marchi, mente, braccio e avambraccio di un soggetto commerciale privato (Identità Golose), che trae lauti guadagni dalla gestione di un portfolio di cuochi. Non a caso, la selezione dei quaranta prescelti è del tutto arbitraria, priva di un criterio che non sia riconducibile a opzioni personali.
Aggiungo che non mi pare né logico né previdente assegnare un vantaggio gerarchico ai grandi chef, come se fossero i depositari della verità gastronomica e imprenditoriale. E non solo perché alcuni di loro hanno mostrato scarso talento nell’amministrazione dei rispettivi esercizi. Ma soprattutto perché incarnano una minima porzione, elitaria e circoscritta, della ristorazione italiana. Che è un’infinita anagrafe di imprese, altrettanto rappresentative della nostra cucina e non meno informate sui fatti. Sono le storie e le fatiche di moltitudini di cuochi senza stelle e senza santi in paradiso; ma persino di osti che non cucinano nemmeno una polpetta, ma conoscono ogni piega del mestiere e sostengono la cucina italiana con onore.
C’è, però, un’altra questione che mi spinge a scrivere.
Mi riferisco a un punto preciso del decalogo di intenti, denominato “Food Act”, frutto del dibattito tra i cuochi marchiani, il ministro Martina, Stefania Giannini (ministro dell’Istruzione) e Dario Franceschini (Beni culturali e Turismo). Un tris governativo che pare abbia fatto girare la testa a Massimo Bottura, il quale si esprime, ormai, con l’identico entusiasmo stupefatto e fanciullesco di Giovanni Allevi. Stando a quanto riporta L’Espresso Wine&Food, Bottura avrebbe dichiarato: «Un incontro importante in cui per la prima volta si sono seduti allo stesso tavolo insieme ai cuochi ben tre ministri di ministeri diversi». Non state a spiegargli che c’è un ministro soltanto per ogni dicastero o gli sciuperete l’infanzia.
Al punto 3, dicevo, si legge testualmente la seguente promessa: «Potenziamento della distribuzione del vero made in Italy agroalimentare». Vero made in Italy: un progetto sacrosanto, dato che nel mondo ha libero (e, purtroppo, legittimo) corso una pletora di falsi prodotti italiani. Alcuni dei quali sono in mostra all’Expo, nel padiglione della Coldiretti.
Un caso emblematico è quello del Parmigiano Reggiano, legalmente indifendibile fuori dai confini europei. Dice con comprensibile preoccupazione la Coldiretti: «Nel 2014 la produzione delle imitazioni del Parmigiano e del Grana ha superato i 300 milioni di chili». Ed elenca: «Dal falso parmigiano vegano a quello della Comunità Amish, al parmesan. Ma c’è anche il parmigiano in cirillico, il parmesao brasiliano, il reggianito argentino e il parmesan perfect prodotto in Australia».
Bene. In questa lista possiamo collocare anche il “parmesan cheese” della Nestlè, dichiaratamente prodotto con latte pastorizzato (il che esclude parentele dirette col Parmigiano Reggiano, a latte crudo), distribuito soltanto in paesi extra europei attraverso l’italianissimo marchio Buitoni.
La coincidenza fatale è che proprio la Nestlè (con S.Pellegrino) è sponsor di Identità Golose e partner di Identità Expo, entrambe creature del commissario tecnico ministeriale Paolo Marchi. Non c’è nulla di illegale in questo giro di valzer. Tuttavia, è inevitabile domandarsi se Marchi sia credibile nel ruolo che gli è stato ritagliato. Se sia compatibile e opportuna la sua presenza in un forum che si propone di difendere il “Vero made in Italy”. Se non siano davvero troppi, a questo punto, i conflitti di interesse e gli abiti che indossa.
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