Non c’è che dire, come per gli economisti, anche per i dietologi non si può dire che siano professionisti che dispongano di una scienza esatta. Se in questi giorni il cardiologo
Michel de Lorgeril (un’autorità a livello internazionale) ha messo a rumore il mondo accademico contestando gli allarmi sul colesterolo (e l’abuso di statine per combatterlo), in Italia ci stiamo dividendo (secondo uno stile tutto nazionale) in una sorta di guerra di religione sull’uso dell’
olio di palma. Un grasso stra-utilizzato in centinaia di prodotti e solo in pochissimi casi indicato come tale in etichetta, dove la dicitura che lo nasconde è troppo spesso “oli vegetali”.
Fino a pochi mesi fa, i nutrizionisti (praticamente tutti) sconsigliavano il consumo di olio di palma (alla base di merendine e Nutella, tanto per capirci). La spiegazione era che, se consumato in elevata quantità come grasso, potrebbe aumentare il
rischio di danni cardiovascolari. E questo non per il prodotto in sé (su cui si può discutere) ma perché l’olio utilizzato nei dolci e nei prodotti da forno spesso viene estratto dal frutto con solventi, decolorato, deodorato e infine deacidificato. Come dire che delle eventuali proprietà nutritive presenti nel frutto, in fabbrica ne arrivano davvero poche. È un po’ come se - ci si perdoni il paragone - invece di olio extravergine di oliva puro si utilizzasse un olio lampante (che brucia come petrolio).
Ora però, dopo le
prese di posizione della Ferrero in difesa del suo prodotto di punta (la
Nutella da tempo non è più fatta con burro di cacao, ma appunto con olio di palma, molto meno costoso), alcuni dietologi hanno cambiato opinione. O la stanno per cambiare. Di nuovi studi non sembra ne siano stati prodotti, ma basta che qualcuno parli ex cathedra... e la discussione si apre.
Siamo contenti che si apra un dibattito serio perché in ballo c’è la
salute dei consumatori, ma ci fa un po’ specie che nella discussione siano intervenuti con mano pesante i produttori aderenti ad
Aidepi (Associazione di Confindustria delle industrie del dolce e della pasta), che hanno investito 400mila euro per una
campagna pubblicitaria sui quotidiani che esalta le qualità di questo olio. Peccato che quei produttori fino a ieri in molti casi ne nascondevano l’utilizzo.
Scontato il diritto di difendere i propri prodotti, ci piacerebbe sapere se oltre a promuovere sul campo l’olio di palma contestato, si impegneranno a renderne evidente in etichetta l’utilizzo. E se magari faranno lo stesso anche per le varietà di grani Ogm che usano per paste a farine, spiegandocene anche in quei casi gli effetti positivi sulla nostra salute. Il libero mercato è un valore, al pari della sicurezza del cibo e della concorrenza onesta con i produttori che utilizzano materie prime di qualità e più costose.