Giancarlo Galan ce l'ha fatta. Onore al merito per un Ministro che ha dovuto combattere anche contro l'ostilità di alcuni colleghi di Governo (per tutti la sottosegretaria leghista Francesca Martini che per mesi aveva osteggiato l'iniziativa), oltre che contro la concorrenza di molti Stati. Alla fine però l'Unesco ha dato il via ufficiale e la
Dieta mediterranea è diventata Patrimonio mondiale dell'umanità, al pari della Grande muraglia cinese o delle piramidi di Giza, costruzioni millenarie che si vedono anche dallo spazio. Lo stile alimentare basato su prodotti quali olio d'oliva, pomodoro, pasta, frutta, verdura e vino (così come codificato negli anni Cinquanta dal nutrizionista statunitense Ancel Keys) diventa quindi un bene di valore culturale assoluto, che come tale va salvaguardato.
Ed è qui che per l'Italia comincia il lavoro più difficile. Non si può infatti pensare che basta aver ottenuto il sigillo dell'Unesco perché improvvisamente tutti i problemi del Made in Italy a tavola possano sparire d'incanto. Anzi. Proprio la valorizzazione che deriva dall'essere diventato Patrimonio dell'umanità deve spingere il Paese a una gara virtuosa perché sulla filiera agroalimentare nazionale sia possibile costruire nuove opportunità di sviluppo e ricchezza per tutto il Paese. In virtù di questo riconoscimento si deve avviare con decisione una vera e propria guerra contro i taroccamenti e le frodi con cui facciamo i conti tutti i giorni, ponendo mano a un legislazione che della tracciabilità alimentare faccia la sua unica bussola. Pensare che tutto possa aggiustarsi da solo e vivere sugli allori di questa prestigiosa vittoria sarebbe un po' come rassegnarsi ai crolli delle vestigia archeologiche di Pompei, pure a suo tempo tutelate come Patrimonio dell'umanità dell'Unesco.
In un processo di questo tipo devono entrare in gioco tutti gli operatori del settore, a partire da chi si occupa del mangiare fuori casa e della proposta alimentare di qualità ha fatto la sua specializzazione. Ciò significa che, dopo anni di disinteresse da parte dei politici e delle stesse associazioni di categoria, la ristorazione deve diventare un valore primario del Paese e come tale essere tutelata e valorizzata. Le politiche vessatorie devono finire e si devono mettere i ristoratori italiani (anche quelli all'estero) nella condizione di essere in prima linea nel valorizzare le produzioni alimentari italiane legate alla Dieta mediterranea.
Alcune delle cose che si possono fare da subito sono quelle sintetizzate nella lettera del cuoco milanese
Paolo Manfredi, che ha chiesto di considerare i ristoranti di qualità alla stregua di aziende no profit beneficiando di sgravi fiscali e contributivi che permettano loro di continuare a vivere e innervare il tessuto delle nostre città di buoni indirizzi dove mangiare. Sarebbe fra l'altro un modo per eliminare gli ingiusti (e oggi ingiustificati) vantaggi degli agriturismi dove a tutti gli effetti si fa ristorazione, ma senza i costi aziendali del ristorante. Mettere insieme, da un punto di vista fiscale e normativo queste categorie sarebbe un passo decisivo anche per rendere più efficiente e leggibile l'offerta turistica italiana.
Del resto, che sul piano qualitativo non ci siano quasi più differenze nell'offerta è stato dimostrato nei giorni scorsi dalla fiera di
AgrieTour ad Arezzo, dove nel concorso di cucina contadina ci sono stati agriturismi con tanto di cuochi professionisti in gara ed altri, quasi un controsenso, che hanno presentato piatti dove nemmeno un prodotto utilizzato era coltivato o allevato in azienda.
Un nuovo modo di presentare l'offerta italiana della ristorazione sarebbe a tutti gli effetti un volano di sviluppo per il turismo enogastronomico, che vale cinque miliardi e si conferma il vero motore della vacanza made in Italy, unico segmento in costante e continua crescita nel panorama dell'offerta turistica nazionale.
Alberto Lupini
alberto.lupini@italiaatavola.netArticoli correlati:
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