Omega-3 sempre sotto i riflettori. A inquadrarli in primo piano una recente pubblicazione di The Cochrane Collaboration, pubblicata da JohnWiley&Sons Ltd e ripresa sul numero di settembre di Pianeta Medicina&Salute.
Nell’articolo “Un masso nello stagno della dietetica”, firmato da Gianluigi Pagano, si presentano i risultati di una ricerca “che ha preso in esame una serie di ben 79 studi clinici controllati e randomizzati che hanno coinvolto ben 112.059 partecipanti, volti a valutare gli effetti dell'aumento dell'assunzione di Omega-3 derivati da pesce o da vegetali, ponendoli in relazione alla mortalità per tutte le cause, eventi cardiovascolari (Cvd), ictus o irregolarità cardiache”. La maggior parte di tali studi riguardava l'uso di supplementi o integratori a base di Omega-3. Alcuni invece consideravano l'apporto di acidi grassi con la dieta.
Gli Omega-3 sono acidi grassi polinsaturi presenti in vari alimenti, soprattutto nel pesce, nell'olio di pesce, nei crostacei, nelle noci, nelle mandorle, in vari tipi di semi (girasole, lino, canapa) e di oli vegetali, nella lecitina di soia. L’articolo sottolinea il fatto che questa ricerca rappresenta la più ampia valutazione sistematica degli effetti dei grassi Omega-3 sulla salute cardiovascolare fino a oggi e vuole dimostrare che l'aumento di acido eicosapentaenoico (Epa) e acido docosaesaenoico (Dha) ha poco o nessun effetto sulla mortalità o sulla salute cardiovascolare.
«Sebbene Epa e Dha riducano i trigliceridi - riporta
Gianluigi Pagano - i grassi Omega-3 supplementari non sembrano utili per prevenire o curare malattie cardiache e circolatorie. Tuttavia, l'aumento di acido α-linolenico (Ala) che è il grasso Omega-3 a catena più corto trovato nelle piante, ed è parzialmente convertito in acidi grassi Omega-3 a più lunga catena all'interno del nostro corpo, pare offrire una certa protezione. Solo attraverso il consumo di alcuni vegetali è possibile fornire all’organismo i due unici grassi essenziali: Acido linolenico e Alfa-linoleico; essenziali perché necessari alla vita e non producibili autonomamente dall’organismo animale. Tali acidi grassi essenziali si trovano principalmente in semi oleosi e in alcune verdure a foglia verde, ad esempio semi di lino, noci, spinaci». La conclusione dei ricercatori fa pesare il piatto della bilancia a favore di fonti di Omega-3 di derivazione diversa da quelle dei pesci, preferendo soprattutto quelli ricchi di acido Alfa-linolenico.
Un orientamento ben diverso da quello determinato dal fatto che l'abbondanza di acidi grassi Omega-3 nella dieta delle persone Inuit della Groenlandia è stata ritenuta responsabile della loro bassa mortalità per cardiopatia ischemica. Su questa scia, il ruolo protettivo e il possibile meccanismo d'azione dei grassi insaturi di animali marini ha determinato una tendenza verso un’alimentazione che prevede consumo di pesci grassi, soprattutto salmoni e pesci azzurri. Il pesce è comunque un alimento importante nell’alimentazione, anche per la ricchezza di altri preziosi nutrienti tra cui selenio, iodio, zinco, calcio e proteine. Questi studi sembrano però tracciare una strada alternativa.
«È una notizia che non è una notizia - ha dichiarato a Italia a Tavola
Giorgio Donegani, tecnologo alimentare, esperto in nutrizione ed educazione alimentare - gli Omega-3 non abbassano il colesterolo e non hanno influenza sugli incidenti cardiovalscolari, ma è dimostrato che ne migliorano la resistenza. E questo non è un elemento da sottovalutare: nel caso di infarto o ictus può fare la differenza. Gli Omega-3 del pesce sono più efficaci: si trasformano più direttamente in forma protettiva».