La “Nota” del 15 novembre punta i riflettori su Picnic, una startup americana che ha iniziato a commercializzare un servizio tramite una macchina che, sul principio della catena di montaggio, assembla la pizza. Anzi, le pizze, perché ci sono modelli che ne sfornano 180 e 300 all’ora.
L'arte della pizza rischia di essere messa a repentaglio dall'automazione
Un’automazione che vede sfilare su un nastro il disco di pasta su cui piovono gli ingredienti. Una spersonalizzazione assoluta che va a sostituire artigianalità, manipolazione, anche la meravigliosa imperfezione assicurata dalla mano del pizzaiolo, che scompare come il forno e i banchi di lavoro (non per niente l'
arte del pizzaiuolo napoletano è Patrimonio dell'Umanità e non a caso c'è stato rammarico nel non vedere pizzaioli nella
recente Guida Michelin). Il laboratorio viene rimpiazzato da una fotocopiatrice di pizze. Che orrore! Almeno in teoria - come ricorda Nota Diplomatica - il ristoratore si deve preoccupare di metter in sala solo i camerieri per le comande e il servizio.
Questo processo si chiama “pizza as a service”. Picnic non vende infatti né la pizza né l’attrezzatura, ma il risultato. Un tot al “pezzo” a un prezzo inferiore al costo di produzione artigianale. Picnic si occupa della macchina, dei suoi aggiornamenti e del numero di “pizzacopie” per calcolare la tariffa. Proprio come nel caso dei contratti a noleggio delle fotocopiatrici. Un sistema che sta muovendo i primi passa con la pizza, ma che si può dilatare all’universo food in senso lato, si sottolinea da Picnic. Alla tecnologia, quando esagera, bisognerebbe dare un limite, un po’ come con i bambini che vanno oltre il lecito con i capricci.