Che abbiamo passato un periodo di vacche magre lo abbiamo capito benissimo e con assoluta certezza: da questa condizione, esprimendomi con una punta di ironia, inesorabilmente siamo diventati tutti un po’ meno ricchi. La crisi globale che ha colpito i nostri portafogli, e indistintamente ogni settore produttivo del Paese, ha fatto sì che si sia dovuto ridefinire i modelli di consumo e interpretare desideri e bisogni secondo una visione aggiornata di come sta andando il mondo.
Spesso l’uomo aspetta di trovarsi davanti ad un baratro per scoprire risorse interiori che non sapeva di avere. Abbiamo tutti noi testimonianze molto toccanti di persone che hanno perso il lavoro, addirittura la casa, e che grazie all’ingegno e alla loro capacità di non subire hanno riprogrammato, ripartendo da zero, una nuova esistenza anche lavorativa, grazie ad un’idea o un loro interesse.
È il caso di una persona, di cui non cito il nome per ovvie ragioni, dirigente di una piccola azienda chiusa per la crisi, che ha fatto di una sua passione, in attesa di tempi migliori, una vera e propria attività lavorativa. Nei vani seminterrati della propria abitazione, già alcuni anni prima aveva creato una piccola area adibita al suo hobby: la produzione di birre artigianali (di buona qualità, secondo il parere di più persone intenditrici). Sempre per passione del buon bere e del buon cibo, aveva frequentato inoltre dei corsi di pizzaiolo acquisendo una sufficiente competenza in materia. Prima della crisi era solito ritrovarsi nelle case dei propri amici in serate di “giropizza”, con pizze cotte in forni domestici con apprezzabili risultati, accompagnate da bicchierate di fresca birra, dando mostra delle proprie abilità e del proprio ego.
Una volta venuto a trovarsi senza uno stipendio per la perdita del lavoro, sostenuto anche dal successo di quelle serate, tramite passaparola avviò a tempo pieno questa attività (tutto a nero, naturalmente) che gli permetteva di non rimpiangere il salario di dirigente di azienda.
Un fenomeno dilagante e alla moda, quello dello chef a domicilio o pizzaiolo che sia, ma che, quale professionista e presidente di un’associazione di categoria (la Federazione italiana cuochi), non trovo consono per i livelli di sicurezza sia alimentare che di responsabilità civile necessari, in quanto effettuato presso un immobile abitativo trasformato in un “home restaurant”.
Le cucine dei nostri ristoranti ed alberghi sono soggette ad innumerevoli procedure, applicazioni e realizzazioni strutturali con costi non proprio irrisori, che a mio modesto avviso (non voglio assolutamente entrare nel merito) trovo a volte assurde, ma che giustamente, per fattori di sicurezza alimentare ed igiene collettiva, tutti accettano.
Poco male, comunque, se il servizio a domicilio viene effettuato da aziende certificate di catering e banqueting con professionisti competenti; il problema sorge invece a mio avviso in maniera più complessa quando fantomatici soggetti privi di professionalità, ispirandosi ai “MasterChef” del momento, sottopongono a grossi rischi l’utenza, che il più delle volte è inconsapevole delle innumerevoli problematiche di sicurezza alimentare cui è esposta, dove non è sufficiente un’assicurazione per tutelare entrambi i soggetti (cuciniere e cliente) in caso di situazioni o episodi spiacevoli, se non addirittura gravi.
Gnammo, la piattaforma di social eating promotrice della nuova tendenza culinaria, conta attualmente oltre 220mila utenti/seguaci, tracciando le linee guida nell’organizzazione e gestione di questi eventi food-casalinghi. È intenzionata ad espandersi, visto il successo, con l’intento di diventare sempre più “soggetto” importante e di riferimento nel settore ristorativo.
A mio avviso, e a puro titolo personale, la trovo una mina vagante che va a logorare un comparto lavorativo già messo in crisi dalle vicende economiche e dall’ingresso di innumerevoli attività ristorative di tipo etnico per le quali nutro (per una parte di loro, anche se minima) qualche dubbio e perplessità in fatto di operatività leale e confacente alle nostre norme italiane.
Mi ricordo di una trasmissione televisiva di alcuni anni fa condotta da Corrado, “La Corrida - dilettanti allo sbaraglio”, dove alla fine si concludeva, come si usa dire, a “tarallucci e vino”, con sonanti risate e tanto divertimento. Ma non è questo il caso, perché questi “dilettanti ai fornelli” mettono una gran parte della nostra categoria, lavoratori competenti e sottopagati, a rischio di ulteriori e ventilate sofferenze lavorative. Mi spiace di una cosa, che una società assicurativa seria si presti ad essere complice di questa sorta di imitatori che si cimentano nel mestiere di cuoco, per raggirare il fisco beneficiando di procedure e cavilli burocratici, complice anche la mancanza di una normativa chiara a livello nazionale.
La Federazione italiana cuochi si è sempre confrontata con le logiche di mercato rispondendo e adeguandosi, specie se percepite come innovative e rispondenti alle effettive esigenze dei consumatori. In questo preciso momento storico i cambiamenti sono così rapidi e significativi che pensiamo sia necessario riflettere oggi sul futuro, anche a lungo termine, esplorando e formandosi ai nuovi modelli di business ristorativo, ma con la cognizione di causa di un protagonista credibile e competente come è la Fic, al contrario di chi si è presentato all’ultimo momento come appetibile novità. L’abito non fa (assolutamente) il monaco...
Se gli scenari di mercato del nostro comparto devono cambiare, ben vengano, saremo pronti anche a questo, purché tutto sia regolamentato con leggi e norme chiare in un contesto di (vera!) legalità e trasparenza, come dovrà essere anche per il nostro mastro birrario/pizzaiolo cui va, nonostante tutto, la mia simpatia per il suo ingegno e la sua intraprendenza lavorativa. Buon lavoro a tutti.