In questi primi giorni (per alcuni una settimana) di riapertura dei pubblici esercizi, la sensazione - anzi, si tratta di una certezza - è che il lavoro stenti a ripartire. Al di là dei casi della movida in cui i giovani si sentono “liberati” e vogliono festeggiare bevendo una birra (quindi spendendo poco), il restante fronte della ristorazione resta al palo. Abbiamo personalmente visitato, come clienti, alcuni locali tra la provincia di Monza e Bergamo ed abbiamo constatato come effettivamente ci sia scarso lavoro, non solo nei ristoranti ma anche nella fascia più accessibile delle pizzerie: un calo di oltre il 70% degli incassi normali, con l’aggravante di costi aggiuntivi non proprio lievi, causa Covid, per garantire la sicurezza. Cosa succede e cosa potrebbe succedere? Sappiamo per certo che molti locali, nonostante la possibilità di riaprire non lo hanno fatto. A Milano città qualcuno non riaprirà più e forse non solo in città. Perché?
Molti locali non hanno ancora potuto riaprire
Analizziamo alcuni degli aspetti di questa situazione. Il commercio per tanti motivi è stato più discriminato di altri settori: la grande distribuzione, i supermercati hanno avuto molti vantaggi, non sono stati penalizzati, anzi non si capisce perché i negozi dei “mall”, cioè le gallerie degli iper, siano stati costretti a chiudere, quando i clienti, sia pure osservando le regole di sicurezza, affollavano gli spazi degli stessi ipermercati, ma questo vale anche per le attività fuori dai centri commerciali. Se la regola della sicurezza era applicata in un supermercato, perché non poteva essere osservata per esempio nei ristoranti o nelle pizzerie? Il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, ha limitato la vendita per asporto delle bevande alcoliche nei
locali della movida dopo le 19, ma i supermercati che restano aperti ben oltre le 20 sono esentati da questo divieto. Perché?
Bisogna considerare che queste limitazioni inducono le persone involontariamente a pensare che alcune attività siano più pericolose di altre dal punto di vista del rischio di contagio da Covid. Anzi, il piccolo commercio, il ristorante, la pizzeria, il pub, sembra non siano in grado di gestire l’emergenza virus, nonostante le norme stringenti dei vari protocolli sia nazionali che regionali sulle riaperture. Tutto questo sommato ad un’informazione giornalistica che spesso si sofferma su numeri e statistiche che diffondono timori e paure. Risultato:
molte attività non hanno riaperto e quelle che lo hanno fatto stentano e soffrono, con affari in grosso calo.
Chi non riapre, parla di motivi economici: il timore di scarsi guadagni, con costi pieni e con il personale da riprendere dalla
cassa integrazione, non invoglia certamente a scommettere sulla situazione. Tra l’altro un problema molto concreto è che i dipendenti nell’80% dei casi non hanno ancora percepito la cassa integrazione in deroga, mettendo in difficoltà molti datori di lavoro che non riescono ad anticiparla. Questo sta creando non pochi malumori e incomprensioni nelle realtà delle piccole aziende che costituiscono la maggioranza di questo settore.
La mancanza di clientela d'affari sta mettendo in difficoltà i ristoranti e gli hotel
I controlli ci sono. Le forze dell’ordine stanno verificando che le norme di sicurezza siano applicate nei pubblici esercizi. Un ristorante di Monza ci ha raccontato come una vigilessa abbia contestato che ai tavoli, pur sistemati con le regole delle distanze, ci fossero anche le sedie vuote non occupabili dai clienti; non avendo il ristoratore un luogo dove immagazzinarle, le aveva lasciate in sala, ma le norme non lo prevedono. Per fortuna è prevalso il buon senso e non c’è stata una multa, ma certamente non è stato un episodio piacevole.
Non sono molti i clienti d’affari che consumano pranzi o cene fuori casa. In tante aziende si lavora ancora da remoto e anche gli spostamenti tra le regioni sono fermi. Se proseguirà anche nei prossimi mesi, lo smart working potrebbe avere ripercussioni sullo scenario della ristorazione. Manca una buona fetta di clientela, i ristoranti devono e dovranno riguadagnarsi una clientela locale che prima frequentava più “giro pizza” o “all-you-can-eat” che pizzerie gourmet o trattorie e ristoranti di qualità.
Molti
alberghi di prestigio sul lago di Como non riapriranno per la stagione estiva, non sono previsti i turisti stranieri e questo danneggerà tutta la filiera, dai pescatori a chi affittava le barche, fino ai tanti agricoltori locali che riforniscono i ristoranti del territorio. Tutta la filiera dell’Horeca ne risulterà fortemente danneggiata.
C’è poi una forte influenza dei media che sta condizionando il comportamento e le scelte della gente: timori sulla sicurezza e sulla salute, minore capacità di spesa, paura di una disoccupazione dietro l’angolo e di un futuro incerto. Tutto questo sta provocando e provocherà uno
tsunami nel mondo dell’ospitalità.
Molti clienti hanno perso il piacere di andare al ristorante per via delle norma di sicurezza
La nostra cucina, la nostra gastronomia, la nostra cultura dell’ospitalità, ben diversa da quella tedesca o del nord Europa, è una storia fatta di emozione, piacevolezza, passione, di rapporto con il territorio. Ma tutto questo è messo ora a dura prova dalle
norme sulla sicurezza: misurazione della temperatura, lavaggi frequenti con gel lavamani, mascherine e guanti, distanziamento, interrogatori al cliente se è sposato o meno, gruppi di amici che non possono toccare la stessa bottiglia di vino. Persino un corteggiamento alla vecchia maniera, complici il cibo e il vino, diventa ora complicato dovendo rispettare le distanze dall’amato o dall’amata. Ecco, tutto questo non aiuta e non aiuterà la ristorazione e la nostra ospitalità.
Forse,
come abbiamo già più volte denunciato, nella task force del Governo ci doveva essere anche chi conoscendo le dinamiche del settore avrebbe potuto prevedere che una buona fetta del Pil (cioè il turismo) rischiava di precipitare, producendo un grave contraccolpo economico e di immagine per il nostro Paese.