Home restaurant, la Fic non ci sta Pozzulo: «Abbiamo sacrificato troppo»

20 settembre 2017 | 10:11
A seguito del dilagare del fenomeno degli home restaurant in Italia, con conseguente legge da parte del Governo per regolamentarne il funzionamento, la piattaforma Gnammo ha creato un'assicurazione “social” rivolta ai ristoratori-a-casa-propria, per offrire loro, oltre a una copertura di responsabilità civile sull'immobile, una forma di tutela per eventuali inconvenienti durante la somministrazione della cena. A questo fenomeno in generale e alla sua conseguente formalizzazione con assicurazione creata ad hoc, la Fic - Federazione italiana cuochi si è sbilanciata: Rocco Pozzulo, in qualità di professionista e presidente di un'associazione di categoria, ha espresso preoccupazioni circa i livelli di sicurezza alimentare differenti rispetto a quelli a cui un ristorante "standard" è sottoposto e la necessità di professionalità a garanzia di un lavoro a tutti gli effetti. Gnammo, sentitosi preso in causa da appellativi come "mina vagante", ha risposto, attraverso la voce del suo presidente Cristiano Rigon, spiegando come data la crisi e l'era della digitalizzazione, è normale adeguarsi a fenomeni quali gli home restaurant e preoccuparsi di garantire il funzionamento più corretto, senza quindi dimenticare i valori di sicurezza e igiene che come piattaforma social, Gnammo si prende l'impegno di garantire. Di seguito la risposta di Rocco Pozzulo, presidente Fic, rivolta a Cristiano Rigon.




Gentilissimo, la ringrazio innanzitutto per l’opportunità consentitami in risposta alla sua, inerente l’articolo comparso sul network Italia a Tavola sulla questione degli “Home restaurant”. Al fine di chiarire ulteriormente la posizione del mio ente, la Federazione italiana cuochi, cui mi onoro di rappresentare nelle vesti di attuale presidente, desidero prima di tutto illustrarle sinteticamente cosa è la Federcuochi.

Il nostro organismo riunisce e rappresenta 120 Associazioni provinciali, 20 Unioni regionali, numerose associazioni e delegazioni estere, annoverando ogni anno una media di 20mila associati fra cuochi professionisti, chef patron, ristoratori, docenti e allievi degli istituti alberghieri di ogni ordine e grado.

Nel 2001 l’ente ha ottenuto il Riconoscimento giuridico come organismo atto a costituire sul territorio nazionale la rappresentanza dei cuochi e di coloro che si dedicano all’attività culinaria professionale, sostenendone lo sviluppo, la promozione e la loro adeguata e necessaria formazione e riqualificazione, attraverso anche ad un proprio Dipartimento tecnico professionale.

Vanta collaborazioni con enti governativi italiani e altre istituzioni permettendole di avere una propria rappresentanza all’interno della Commissione enogastronomia del ministero del Turismo e di cooperare attivamente a molte iniziative istituzionali dei ministeri della Salute e dell’Istruzione.

La Fic, come sempre nel suo stile, non crea polemiche, rimanendo sempre all’infuori da sterili contrasti o inutili controversie, prende però posizione, e sempre nello specifico, quando viene inadeguatamente messa “in ballo” la figura e la professione del cuoco.

Cuoco, in senso generico, è una persona addetta alla preparazione e cottura dei cibi. Nello specifico in ambito ristorativo, e quindi sotto il profilo professionale, indica un esperto del settore alimentare che lavora nelle cucine di pubblici esercizi (ristoranti di ogni ordine, tavole calde), navi, alberghi o altre aziende di banqueting, o ristorazione collettiva organizzata (mense di aziende, scuole e ospedali) organizzando e razionalizzando gli ambienti lavorativi secondo precise normative di legge e cucinando le pietanze da servire in base a rigidi protocolli di sicurezza alimentare.

La qualifica professionale di cuoco (o aiuto cuoco) si ottiene, in Italia, attraverso corsi specifici o alla fine di un percorso scolastico, proprio per questo tipo di formazione professionale, di solito scuole di ristorazione ed istituti alberghieri.

Mi permetta una ulteriore precisazione: il termine cuoco, riconducibile alle mansioni e al profilo professionale, si discerne dal ruolo di “chef” (tanto abusato oggi giorno dai media ed dalla televisione) per il fatto che quest'ultimo si riferisce invece al capo cuoco di ristoranti o grandi alberghi cui sotto la sua direzione vanta e dirige un certo numero di subalterni, sempre cuochi qualificati e di esperienza, nonché altro personale di cucina con qualifiche e ruoli inferiori, non certo meno importanti, ma tutti atti a raggiungere l’obbiettivo di un conforme servizio nei confronti dell’utenza, i nostri clienti. Obbiettivi che devono collimare con i riscontri positivi del consumatore (oggetto di mercato), l’osservanza delle norme sia giuridiche che di sicurezza alimentari, e non per ultimo la sostenibilità economica della attività (un congruo guadagno).

In base a questa semplice esposizione e definizione delle nostre figure professionali, mi sembra che coloro che operano come “cuochi/cucinieri” all’interno della vostra piattaforma Gnammo siano un attimino distanti e al di fuori delle attuali norme che regolano i servizi di ristorazione pubblica e commerciale.

Ben lungi da me giudicare o puntare il dito, accusando questo o quello, o un sistema che ha anche dell’innovativo, e che rimarca i mutamenti sociali di questi ultimi anni favoriti anche dalla gravissima crisi globale che ha assalito ogni settore produttivo. Ma queste nuove forme di reddito, create sotto la spinta di difficoltà economica, come lei stesso giustamente ha sottolineato, devono essere normate e trasparenti. Fino ad ora, mi consenta puntualizzare, non esistono; per questo ho definito il sistema una “mina vagante” che va ad intaccare un comparto lavorativo già “sfiancato” e sdrucito nel suo insieme, da coloro che cercano (anche a giusta ragione e per necessità) l’opportunità a crearsi un reddito secondario, a dispetto di una categoria di lavoratori (noi cuochi) che dà giornalmente alla professione, e per un compenso non certo comparato, non meno di 12-14 ore lavorative filate alle loro aziende.

Problematiche al nostro settore si sono create anche con i primi avvicendamenti dei “Bed&Breakfast”, e cosi con l’apparire degli “Agriturismi”, altre “mine” che hanno recato danno e confusione ad un comparto lavorativo, fin quando queste due tipologie, nell’ambito dell’accoglienza e della ristorazione, non sono state regolamentate definitivamente nell’arco di vari anni da idonee normative. Purtroppo si sa, in Italia le leggi ed i regolamenti non “viaggiano” alle velocità dovute e nel frattempo alcuni “furbetti” hanno guadagnato indebitamente, per non dire illegalmente, mentre altri hanno patito ingiustamente la mancanza di introiti.

La invito ad andarsi a vedere una vecchia puntata di “Report” di Rai 3 andata in onda lo scorso anno, nella quale si parlava del mondo del cuoco, anche dell’alta ristorazione e delle numerose ore che i suoi operatori trascorrono fra le quattro mura della loro cucina. La invito a fare una serena riflessione e cercare di capire la posizione dei nostri associati, e del nostro ente, e quali “valutazioni” potrebbero reputare alla sua “Social eating”. Siamo professionisti che hanno sacrificato per imparare ed apprendere un mestiere, da molti considerata “arte”, dove in questi anni, per dei meccanismi e nuove dinamiche di mercato, si sono avvicendate situazioni diverse: un qualunque contadino con polli e maiali può aprire un ristorante vero e proprio sotto mentite spoglie di “punto di ristoro”, oppure, grazie alla sua piattaforma, la signora Maria presso la sua stessa abitazione, con tavolata di 10 persone, guadagna in proporzione 3 volte tanto rispetto ad una normale attività ristorativa! Ciò fa male e ritengo che “qualcosa” non va!

Mi consenta inoltre un mio umile parere sulla polizza assicurativa: questa non può certo essere un valido “strumento”, per la ipotetica signora Maria ed i suoi ospiti, per quelle garanzie che la legge richiede, a differenza invece di chi somministra cibo in presenza di regolari licenze.

Ora la lascio con una mia semplice domanda: Lei si lascerebbe mettere le mani in bocca o rilasciare una “diagnosi” da un odontotecnico anziché da un medico odontoiatra? Conosco già la sua risposta; eppure entrambi hanno competenze e conoscenze specifiche a che fare con l’apparato masticatorio, ed entrambi coperture assicurative per malaugurati “incidenti di percorso”. So bene a chi si rivolgerebbe, anche per un semplice controllo di routine.

Professionalità e competenza, per me non c’è altra via per ogni professione o attività che si voglia intraprendere!
Con grande serenità e rispetto nei suoi confronti.
Grazie per la sua attenzione, resto a disposizione.

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Alberto Lupini


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