326 voti favorevoli, e la Camera dei deputati ha dato il primo via libera alla legge sugli “home restaurant”, i ristoranti in casa che hanno preso piede anche in Italia da diverso tempo. Il provvedimento passerà ora all'analisi dei senatori e, se non saranno approvate modifiche, la ristorazione privata avrà la sua prima legge nazionale. Fu per primo il M5s a portare in Commissione attività produttive una bozza di legge sul tema. Il piano per regolare la ristorazione casalinga ha avuto contributi da parte delle forze politiche di maggioranza con Angelo Senaldi (pd), fino a giungere a un accordo bipartisan senza però i gruppi Cor e Lega che hanno votato contro.
«Abbiamo accolto le istanze di un fenomeno imprenditoriale nato dal basso e in continua crescita - spiega la deputata grillina Azzurra Cancelleri, prima firmataria del provvedimento - e le abbiamo portate in Parlamento. Colmando un gap normativo: ora l’home food ha regole chiare. Abbiamo posto un primo fondamentale tassello per riconoscerlo». La mancanza di leggi, infatti, aveva consentito finora al fenomeno della ristorazione privata di crescere e prosperare in autonomia (7,2 milioni di euro il fatturato nel 2014 secondo Confesercenti). Ma il successo del social eating ha suscitato le proteste delle associazioni commercianti, che ne hanno chiesto a gran voce la regolamentazione in nome di una concorrenza ad armi pari con i pubblici esercizi.
Proprio ieri Lino Stoppani, presidente Fipe, ha ribadito l'opposizione dell'associazioni a questa forma di ristorazione. Se la legge passerà così come è stata approvata dalla Camera, ecco dunque i paletti innanzitutto di natura fiscale per evitare che l'attività di chef tra le mura domestiche diventi una professione nascosta. Ecco quindi il limite ai 500 coperti l'anno è un guadagno, sempre annuale, non superiore ai 5mila euro.
Inoltre per tracciare il flusso di denaro, pagamenti, prenotazioni, organizzazione di eventi gastronomici, dovranno essere gestiti esclusivamente su piattaforma digitale. In legge anche il controllo dei requisiti igienico sanitari e l'obiettivo di valorizzare le tradizioni gastronomiche locali e favorire un'alimentazione sostenibile.
foto: ilgiorno.it
Altro punto importante della legge è il divieto di accoppiare l’attività di social eating a quella di AirBnb, ossia non si possono organizzare cene a pagamento in appartamenti privati usati per affitti brevi. Inoltre il titolare del ristorante domestico deve essere provvisto di un’assicurazione sia sulla casa che per la copertura dei rischi derivanti dalla sua attività. Sebbene infine non sia necessaria l’iscrizione al registro degli esercenti il commercio, chi apre un home restaurant è tenuto a presentare la cosiddetta "Scia", ossia la dichiarazione di inizio attività commerciale. Ma si tratterà di una comunicazione digitale da inoltrare al Comune secondo modalità che stabilirà il ministero dello Sviluppo economico.
Come per ogni legge non mancano le critiche: «Secondo noi in questa legge è stato fatto un buon lavoro per assicurare la totale trasparenza nei confronti dei consumatori e garantire un microreddito a chi non ce la fa», spiega
Cristiano Rigon, fondatore e amministratore delegato di Gnammo. Ma limiti così rigidi fanno pensare, secondo Rigon, ad una vittoria delle lobby di categoria «che non hanno realmente compreso quanto l’home restaurant sia lontano dall’esperienza del ristorante e sia non avversario ma strumento di sviluppo del settore».
Gnammo critica inoltre il vincolo dei 5mila euro sui proventi e il divieto di svolgere l’attività negli AirBnb. Altre voci contrarie alla legge giungono proprio dai ristoratori casalinghi: «L'obbligo di registrazione sulle piattaforme web e quello di acquisire pagamenti solo in forma elettronica impedirà l'85% delle probabili aperture», sostiene
Giambattista Scivoletto, fondatore di
HomeRestaurant.com.
Anche Confedilizia dichiara la propria delusione per una legge che, invece di creare sviluppo, pare mettere la parola fine di home restaurant. I rappresentanti dell’associazione dei proprietari di case criticano il provvedimento perché «impone esclusivamente limitazioni, divieti, vincoli, restrizioni rispetto a un modo con il quale alcuni italiani cercano di darsi da fare per migliorare la propria condizione, contribuendo a muovere un’economia asfittica come la nostra».
Insomma una montagna per partorire un topolino da 500 coperti e 5mila euro lordi, da cominciare a contare dopo un vero e proprio slalom tra norme, obblighi e controlli. Forse meglio ordinare una pizza...