Troppi contenuti “liberi” sul web? È tempo che la politica si muova

07 novembre 2016 | 12:35
di Alberto Lupini
A Napoli e in Germania, Facebook è sotto attacco della magistratura per la pubblicazione di contenuti falsi o diffamatori. E in situazioni analoghe si trova anche Twitter. Dopo troppi anni di lassismo e di male interpretata libertà di pensiero, in Europa e negli Stati Uniti ci si comincia finalmente ad interrogare fino a che punto si può concedere alla rete di avere praticamente una “licenza di uccidere”, non solo metaforicamente, visti i continui incitamenti all’odio e alla violenza che anche la campagna elettorale americana ci ha regalato...



Facebook, in linea in questo con tutte le realtà del web che vivono del portare in piazza informazioni, ma anche tanto squallore senza alcun controllo, si difende sostenendo che non è uno strumento di comunicazione o un contenuto, ma solo un contenitore. Il suo fondatore Mark Zuckerberg lo definisce come una sorta di grande Telecom, non una Rai o una Mediaset. Eppure Facebook è oggi la più grande media company mondiale che stimola, verifica e vende i contenuti (le informazioni, anche quelle più private) di poco meno di 2 miliardi di abitanti del pianeta. E ci guadagna pure tanto. Ma respinge ogni responsabilità rispetto a ciò che viene pubblicato.

Di fatto è lo stesso atteggiamento che ha TripAdvisor. Quanti più commenti ci sono, tanto più guadagna. E non gli importa nulla se gran parte di quei post sono tarocchi o legati ad azioni criminali: denigrare un concorrente o creare false recensioni positive per attirare clientela.

Da tempo ci sono segnali che così non si può continuare. Così non si può garantire un libero mercato ma neanche, e forse soprattutto, assicurare un minimo di veridicità e di crescita culturale. Finora TripAdvisor ha ricevuto multe e sanzioni, ma fare rimuovere i post, soprattutto in Italia, resta un’impresa al limite del miracolo.

Secondo una positiva tradizione della democrazia occidentale, là dove la politica latita, a volte interviene in supplenza la magistratura. È questo il caso delle inchieste e delle sentenze su Facebook che sono destinate ad aprire una strada che si spera possa essere seguita a tutti i livelli. Se Facebook perderà questa battaglia, a cui cerca di opporsi con tutte le sue quasi illimitate risorse, sarà forse una svolta di civiltà. Che i mega portali della rete rispondano anche dei contenuti pubblicati, così come avviene per tutte le testate giornalistiche, sarà una garanzia per tutti e darà ancora più forza alla rete. Deve finire il doppio gioco di imbrogliare parlando di “libertà d’espressione” e fare affari sporchi grazie all’anonimato. Ciò vale per Facebook come per TripAdvisor.

È tempo che la politica intervenga con decisione. Non si dovrebbe arrivare ad un suicidio per capire che ci sono violazioni gravissime della privacy. Bastano le truffe per intervenire. L’ultima è quella segnalata dal Comune di Courmayeur riguardo ad un inesistente hotel che vendeva camere online ed aveva profili con recensioni positive e consigli. Non si può pensare che la rete sia oscurata solo per decisione dei mandarini cinesi o del satrapo turco per imbavagliare le voci di opposizione. La rete va difesa e tutelata, soprattutto da se stessa. Se sarà libera, e corretta, sarà anche uno strumento di democrazia, oltre che un motore di business. Ma se presta il fianco ad operazioni opache o criminali offre l’occasione ai vari dittatori sparsi per il mondo di spegnerla.

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