Le mani della ’Ndrangheta sui ristoranti

16 marzo 2015 | 10:58
di Alberto Lupini
Fino a pochi anni fa l’obiettivo erano i negozi di abbigliamento dei centri storici (di jeans ed intimo in particolare), le cui gestioni giravano vorticosamente passando di mano in mano quasi ad ogni stagione. La situazione era sotto gli occhi di tutti, ma tutti o quasi tolleravano la cosa. Ora la tolleranza continua, ma le nuove strategie di espansione nel commercio della criminalità riguardano la ristorazione e i bar di tendenza.

Le ragioni sono sempre le stesse: facilità di ingresso (con la crisi, qualche valigetta di nero - sull’esempio dei cinesi - aiuta a vincere ogni resistenza); possibilità di giustificare elevate spese di promozione ed immagine; facilità di riciclare il denaro sporco “guadagnato” con altre modalità. In più c’è una ragione più recente, legata all’espansione di mafia e ’Ndrangheta nei settori della produzione agricola e della grande distribuzione, che costituiscono un nuovo retroterra da sviluppare da parte delle agromafie.

Si parla di oltre 5mila ristoranti in tutta Italia che sono legati alla criminalità, ma probabilmente sono molti di più. Una dimensione di per sé assolutamente da allarme rosso, ma che non sembra destare alcuna preoccupazione da parte delle amministrazioni locali, che spesso sono colluse con camorristi e affini per pratiche, licenze e controlli, come dimostra persino il caso del Comune di Roma, il più grande d’Italia.

Dai campi alla tavola, le agromafie fatturano in Italia oltre 15 miliardi di euro e grazie al potere accumulato nel tempo hanno costruito holding e strutture finanziarie che riescono ad eludere anche i controlli più accurati. E grazie a cospicui investimenti promozionali in strutture compiacenti, tipo TripAdvisor ed affini, riescono a richiamare l’attenzione su locali altrimenti sconosciuti.

Una situazione su cui sarebbe da criminali porre la sordina, come qualcuno vorrebbe, utilizzando oggi la scusa dell’ormai imminente Expo. La manifestazione internazionale non può e non deve diventare l’alibi per permettere ai criminali di installarsi con ancora più facilità nella ristorazione.

Dalle forze di polizia in generale ci attendiamo al contrario un intensificarsi di controlli, sostenuti magari dai ristoratori onesti che sono danneggiati dalla concorrenza sleale di “colleghi” che non hanno la necessità di badare al controllo dei costi. Milano è uno dei luoghi dove più alto è oggi il rischio della contaminazione e dove locali di lusso fanno a gara per creare sospetti ingiustificati anche in vista dell’Expo. Il non muoversi per non danneggiare l’immagine della città significherebbe soltanto una resa incondizionata a quella ’Ndrangheta che ormai è uno dei capisaldi del potere lombardo. Gli operatori onesti hanno il diritto di essere tutelati.

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Alberto Lupini


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