Georgia, un Paese dove la vite è espressione di identità nazionale

10 luglio 2016 | 12:47
di Piera Genta
Un Paese straordinario, affascinante, punto di incontro tra Asia ed Europa che rivendica con orgoglio di essere uno dei più antichi produttori di vino nel mondo ed oggi, l'antica tradizione di vinificazione georgiana nei kvevri dal dicembre 2013 è riconosciuta come un Patrimonio immateriale dell'Unesco. È solo di qualche settimana fa un importante ritrovamento nel sito archeologico di Aradetis Orgora nella provincia di Shida Kartli, a circa 100 chilometri da Tbilisi di un recipiente zoomorfo cioè a forma di animale datato intorno al 3000 a.C. con tracce di vino e di numerosi grani ben conservati di Vitis vinifera, la vite comune oltre a numerose altre piante ancora in fase di identificazione.



La scoperta, che comprende anche un altro vaso e una giara, è stata annunciata dalla missione archeologica italo-georgiana. Questo ed altri ritrovamenti confermano lo sviluppo di una viticultura stabile nella parte orientale della Georgia e di conseguenza di consumo del vino in tempi molti antichi. La viticoltura è da secoli l’elemento chiave della cultura e dell'economia georgiana. Attraverso la lunga storia della nazione, la vite ha acquisito un significato iconico, simbolo di rigenerazione, di ricchezza e abbondanza, un legame con il passato ed espressione di identità nazionale; lo stesso alfabeto georgiano sembra modellato nella forma delle propaggini delle viti.

Bere vino in Georgia fa parte dell’ospitalità, ed il brindisi durante il banchetto è un rituale con proprie regole che affonda le radici nella tradizione. Il brindisi deve essere pronunciato da Tamada (maestro di cerimonie) e richiede una partecipazione emozionale di tutti i presenti. I brindisi sono lunghi discorsi riguardanti argomenti diversi, tra cui la patria, la pace, la famiglia, l’amicizia ecc... Figura importante quella del maestro di cerimonie, presente già nell’antichità, testimoniata dal ritrovamento di una piccola statuetta in bronzo datata agli inizi del primo millennio a.C. raffigurante un Tamada con un corno potorio nella mano destra.

L’importanza della coltura della vite e dell’enologia per la Georgia è messa in risalto anche dalla figura simbolo del cristianesimo del Paese, Santa Nino. La croce utilizzata dalla santa che convertì il re d’Iberia al cristianesimo nel 327 d.C., infatti, è una croce fatta di tralci di vite, oggi simbolo della cristianità georgiana. La vite e la croce di Santa Nino sono presenti negli affreschi e sui bassorilievi delle centinaia di monasteri e chiese disseminate su tutto il territorio georgiano. Sulla collina che domina Tbilisi, la capitale, una gigantesca statua della Madre dei Georgiani, Kartlis Dedacon, ha una spada per allontanare i nemici e una ciotola di vino per accogliere gli amici.

Un viaggio di contrasti: montagne e valli, numerosi fiumi e laghi, chiese e monasteri, colori, sapori e profumi, miscela architettonica di ogni stile, il fascino delle cose arcaiche. Nella capitale colpisce la sua orientalità, si incontrano monaci in abiti neri, donne in abiti fantasia, matrimoni in ogni angolo, tuguri che contrastano l’acciaio moderno degli edifici in vetro, grande senso di rispetto per l’arte e la letteratura tanto che non si incontrano statue di condottieri, ma di poeti ed artisti ed il boulevard Rustaveli potrebbe essere una via di qualsiasi città europea.



Tradizione da un lato, tecnologia dall’altro in mezzo 8mila anni di storia alla base del viaggio che inizia nella rigogliosa pianura della regione di Kakheti, la più importante area vinicola in termini quantitativi, qualitativi e storici, produce attualmente il 70% della produzione annuale del Paese. Per farsi un’idea del numero di varietà autoctone di vitigni della Georgia bisogna fare riferimento all’ampelografia pubblicata nel 1960 in cui sono catalogate 524 varietà. Solitamente in ogni regione della Georgia vengono coltivate specifiche varietà di uve e spesso i vini prodotti acquisiscono il loro nome a seconda del luogo dove le uve vengono coltivate.

Ad esempio il vino bianco tsinandali prende il nome dall’omonima località nella regione del Kakheti e così per i vini kindzmarauli, mukhuzani, manavi, ecc... Il vitigno principale usato per i vini rossi è il Saperavi, mentre per il vino bianco sono Rkatsiteli e Kakhuri Mtsvani. Vinificazione rigorosamente nei kvevri, le grandi anfore di terracotta completamente sepolte nel terreno, utilizzate non solo per la conservazione del vino a temperatura ottimale, ma anche durante il processo di fermentazione che per i vini bianchi viene fatta con le bucce.

La superficie interna dei kvevri è ricoperta da un sottile strato di cera d'api, essenziale per l'igiene, mentre la parte esterna viene rivestita con un sottile strato di cemento. I vini bianchi hanno un colore arancio intenso con sapore di mandorla, noce e mela essiccata. Vini che devono essere valutati sulla base delle loro tradizioni, unici, molto longevi, con un’acidità relativamente elevata, ricchi di numerosi composti aromatici. Oggi queste anfore si trovano ancora in quasi tutte le case di campagna delle regioni viticole georgiane, dove servono per produrre il vino per il proprio consumo, le grandi cooperative vitivinicole, nate ai tempi dell’Unione Sovietica, privilegiano vitigni più produttivi e tecnologie più moderne e convenzionali.



Per questo motivo dal 2008 le regioni di Khakheti e Imereti sono tutelate dal Presidio Slow Food. Anche la produzione delle anfore richiede un lavoro molto impegnativo, sono modellate a mano senza usare il tornio da vasaio e dopo l’asciugatura vengono cotte in speciali forni a legna; attualmente sono solo cinque i vasai in attività. Il viaggio prosegue per la “Georgian wine road” attraversando villaggi dai pittoreschi mercati improvvisati dove in piccole edicole ai margini delle strade troviamo frutta abbondante, in questa stagione mele, pesche, albicocche e mele; il gustoso pane anche nella versione dolce cotto nei forni tandoor; miele e deliziose barrette di noci rivestite di succo d’uva o di frutta. Ogni cantina georgiana è famosa non solo per il suo vino, ma anche per Chacha, una bevanda alcolica molto più forte, simile alla nostra grappa. Una viaggio non facile da affrontare, ma piacevole da scoprire.

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Alberto Lupini


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