False recensioni, ora ci pensa la Giustizia americana

23 ottobre 2015 | 09:45
di Alberto Lupini
Per le false recensioni, che stanno degradando la credibilità di non pochi siti su internet, potrebbe forse cominciare l’ora della resa dei conti. Dopo la decisione della Corte di Giustizia della Ue per cui i singoli Stati europei possono chiedere di vietare a Facebook di conservare negli Usa i dati dei propri iscritti (per tutelare la privacy), si attende ora una ben più importante sentenza dalle Corti di Seattle e Washington. Amazon ha infatti denunciato 1.114 utenti, anonimi, che hanno pubblicato delle falsità sui prodotti in vendita online. Secondo il portale, l’uso di commenti tarocchi ha indotto in errore i clienti al punto che «una piccola minoranza di produttori e venditori tenta di ottenere ingiusti vantaggi competitivi creando recensioni di clienti false, ingannevoli e non autentiche per i propri prodotti su Amazon.com». E tutto questo accompagnato da segnalazioni di truffe operate da società che offrono recensioni fasulle.

Siamo in presenza di un caso giudiziario che potrebbe scoperchiare finalmente la fogna in cui sono cresciuti tanti portali che hanno costruito le loro fortune proprio sulle recensioni, spesso tarocche, coperte dall’anonimato. Per non nasconderci dietro un dito parliamo esplicitamente, fra gli altri, di TripAdvisor, già multato in Francia, Gran Bretagna e Italia per distorsione dal mercato (anche se da noi il Tar del Lazio ha di fatto “autorizzato” l’abuso di commenti falsi cancellando la multa dell’Authority). E che intorno a sé ha lasciato crescere un sottobosco di squallide società che vendono recensioni false.

TripAdvisor non nega nemmeno più la presenza di recensioni tarocche, ma cerca di nascondere le vergogne sostenendo che non controlla quello che viene pubblicato. Ma così facendo apre la strada al problema che invece Amazon denuncia ufficialmente: i commenti falsi distorcono e ingannano i consumatori. E se, come è più che probabile, negli Stati Uniti il portale di e-commerce otterrà una vittoria in Tribunale, TripAdvisor non avrà più alibi per sostenere che i mancati controlli sono legati anche alla impossibilità di perseguire i truffatori.

Dagli Stati Uniti potrebbe quindi venire, il condizionale resta d’obbligo, una vera svolta giudiziaria per cominciare a mettere un po’ di pulizia nel Far West creato da chi ha strumentalizzato la rete in nome di una demagogica libertà di pensiero e un anonimato che hanno aperto la strada alla criminalità. E TripAdvisor, non dimentichiamolo, ha una sede unica negli Stati Uniti. Se Amazon vincerà la sua causa, sarà difficile per il “gufo” fare finta di nulla. Se in Italia la credibilità di una società è valutata forse poco, in America conta e il mercato cambia in fretta opinione.

È forse giunto il tempo che i ristoratori e gli albergatori - ingiustamente colpiti dalle pratiche di un portale su cui non hanno mai voluto nemmeno comparire - ottengano giustizia. Per sensibilizzare l’opinione pubblica, oltre alla campagna per la libertà di pensiero e la verità, di fronte alla passività dei vertici di TripAdvisor Italia a Tavola ha lanciato una campagna di vetrofanie per combattere le false recensioni. Sono centinaia le adesioni all’iniziativa #NoTripAdvisor, da parte di ristoratori onesti che sono stati diffamati senza giusta causa. Ora è tempo che ci si muova attraverso azioni legale mirate, per ottenere giustizia anche in Italia. Serve una tutela per tutti con nuove leggi che garantiscano ciò che è giusto: il risarcimento in caso di diffamazioni o falsità e la possibilità di alberghi e ristoranti di uscire dal portale. E se la politica resterà ancora sorda potremmo sempre attivare un portale in cui ognuno metterà i suoi giudizi su politici, funzionari pubblici, avvocati, medici, notai o commercialisti. In pochi giorni ci sarebbero norme severissime anche per TripAdvisor...

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