Commercianti, artigiani e contadini Tutti in Cucina ma con regole diverse...

07 aprile 2015 | 09:48
di Alberto Lupini
La gran parte dei ristoranti e dei catering aderisce a sindacati dei commercianti (Confcommercio e Confesercenti), ma ci sono pure quelli iscritti a Confindustria. I pasticceri e i gelatai, come molti pizzaioli, sono artigiani (divisi i primi in almeno 4 federazioni nazionali e i secondi in decine di sigle più o meno rappresentative). E poi ci sono gli agriturismi, che fanno capo ad altri 3 sindacati agricoli. Per non parlare dei bar, delle tavole calde e delle mense.

E in mezzo ci sta il cibo, che tutti lavorano e tutti somministrano.

E in mezzo ci stanno anche i cuochi, che possono stare in ciascuna di queste attività, ma che a seconda del locale dove lavorano devono rispondere a norme fiscali o di sicurezza diverse.

Insomma, non c’è settore economico che al suo interno non abbia imprese che, a vario titolo, fanno ristorazione e che perciò sono soggette a controlli (quando ci sono) di organi diversi e devono rispettare regole diverse. Eppure per i consumatori non c’è differenza perché pensano che lavorino tutte con le stesse normative.

Una situazione probabilmente unica al mondo, frutto della frammentazione secolare delle nostre comunità e dei nostri livelli di rappresentanza, che finora ha garantito purtroppo solo la confusione, il fai da te e l’anarchia in un settore che invece, proprio in Italia, dovrebbe essere forte, coeso e capace di esprimere al meglio i valori della nostra cultura e la qualità delle nostre materie prime. Cucina ed enogastronomia sono alcune delle risorse su cui l’Italia può davvero investire per avviare un nuovo ciclo di sviluppo virtuoso. Ma per fare questo occorrono dei soggetti forti, capaci di rappresentare al meglio l’intero sistema e confrontarsi con produttori ed istituzioni.

L’attuale sistema normativo sembra invece fatto apposta per tenere divisi (e litigiosi) i diversi operatori. L’esempio più evidente è quello della contrapposizione fra Ristoranti tipici (o per banchetti) e agriturismi (spesso tarocchi e tali di nome solo per pagare meno tasse).

Un Paese moderno, quale vorrebbe finalmente diventare l’Italia, deve porre mano al più presto ad una riforma generale che dia vita ad un nuovo comparto produttivo che veda al suo interno, con regole uguali per tutti, i diversi protagonisti che si occupano di somministrazione del cibo. L’accesso obbligatorio alla professione attraverso titoli di studio riconosciuti e normative fiscali, previdenziali e di igiene identiche per tutti permetterebbe di operare una grande trasformazione capace di valorizzare le specificità di tutti in un mercato in cui tutti giocherebbero con le stesse regole.

Una riforma è imposta anche dai cambiamenti a livello internazionale nel mondo della ristorazione (con sempre più catene in franchising e il crescente fenomeno degli home restaurant) e servirebbe a riorganizzare il settore per tipologie di offerta. Un unico settore, con adeguate rappresentanze, sarebbe fra l’altro un interlocutore forte e credibile per operazioni di partnership serie con i produttori agricoli, di cui chi somministra cibo potrebbe essere garante e promotore. Se non ci smarriamo nelle narrazioni futuribili o ideologiche (contadini o industrie, Ogm o bio), l’occasione dell’Expo potrebbe servire anche per aprire una riflessione seria.

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Alberto Lupini


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