In passato numerosi giovani, sia in fase di studio che ultimati i loro percorsi scolastici, andavano all’estero, chi per favorire l’apprendimento delle lingue, chi per quel metaforico “taglio del cordone ombelicale” che li legava alla famiglia, altri ancora per accrescere la sete di esperienze di vita, sempre comunque all’insegna di una libera scelta. Oggi, con la piaga sempre più incalzante della disoccupazione giovanile, i ragazzi sono costretti a prendere la valigia quale ultima opportunità per la ricerca di un’esistenza più rosea, un po’ come avvenne per molti dei nostri avi nei due dopoguerra.
La disoccupazione giovanile in Italia è tra la più alta dell’Unione europea, intorno al 40% della popolazione senza lavoro. Molti studenti, usciti dalle scuole, si fanno molte domande e i loro genitori, che hanno avuto più occasioni dei nonni, li esortano a seguire le loro inclinazioni e passioni. Tanti tralasciano i cosiddetti “lavoretti” di transizione, che sono quasi sempre alla stregua dello sfruttamento e malpagati.
L’Italia perde sempre più laureati. Fermiamo la fuga all’estero
C’è una cosa che mi fa molto pensare: ci sono settori lavorativi della ristorazione e dell’hospitality che faticano a trovare personale, in contrapposizione al fenomeno della fuga della forza lavoro giovanile all’estero. Il nostro settore in ambito turistico non è stato eccessivamente e gravemente intaccato dalla crisi globale, l’indotto della ristorazione ha retto bene, tanto da essere il secondo settore produttivo (dopo quello agricolo) con la maggiore richiesta nella ricerca di figure professionali. L’estate dello scorso anno numerose sono state le richieste di personale da parte di aziende e strutture, ahimè rimaste inevase per carenza di figure specie per i profili qualificati.
L’offerta di posti di lavoro nella ristorazione e nell’hospitality non manca in Italia; grazie alla forza mediatica dei format televisivi, numerosi sono i giovani che
ambiscono ad essere le future realtà da copertine patinate o del piccolo schermo, ma dopo le prime avvisaglie o il
sentore di sacrifici, le
nuove leve desistono.
Per almeno una parte di questi giovani, la Federazione Italiana Cuochi può attivarsi concretamente verso le loro attese. Dobbiamo aprire loro la strada e operare verso i fattori negativi del nostro settore, portando
condizioni lavorative migliori, orari e condizioni più consoni e prospettive di retribuzioni adeguate alle reali competenze, combattendo lo sfruttamento giovanile.
Solo così la Federazione può essere un “faro” credibile a cui appoggiarsi, dove i giovani possono trovare risposte, sostenibilità professionale, crescita delle loro relazioni, condivisione e accompagnamento educativo/professionale. Ciò non favorirà la fuga verso l’estero, come per altri coetanei, bensì un maggiore orientamento verso le imprese italiane della ristorazione e dell’hospitality. Un augurio di buon lavoro a tutti.