Nel presentare la giornata mondiale del turismo, il Ministro
Dario Franceschini ha buon gioco nel parlare di un «sistema in salute» e nell’indicare come il problema vero sia cercare di «governare l’enorme crescita dei viaggiatori che continueremo a registrare nei prossimi anni». Una fotografia corretta, che forse per essere confermata nel futuro non può però basarsi solo sul pur importante, e apprezzabile,
Piano strategico per il turismo che dovrebbe (ma quando?) armonizzare le iniziative di Stato, Regioni e Comuni.
Che la Reggia di Caserta o gli scavi di Pompei, con le città d’arte o i luoghi di villeggiatura, segnino punte di incremento dei visitatori quasi impensabili non può che fare piacere a tutti. Anche con le motivazioni dell’enogastronomia e dell’ambiente, ormai prevalenti, il turismo si conferma coi numeri come un comparto vitale e in crescita costante. Un vero
motore aggiuntivo per la nostra economia.
Ma fino a quando questo potrà durare? Le nostre strutture di accoglienza sono davvero in grado di resistere ad una domanda sempre più qualificata e in crescita in termini di numeri e aspettative? Un turismo ancora più “di massa” (con tutti i problemi di accessibilità che da Venezia in giù vengono segnalati da operatori e amministratori pubblici) è davvero una soluzione sostenibile? E, vero interrogativo che sovrasta tutti, quando il pericolo terrorismo sarà superato (in caso contrario non si porrebbe nemmeno questa questione...) l’Italia continuerà ad essere una delle mete al vertice delle
preferenze dei turisti?
A queste domande, a cui politici e imprenditori del settore non possono certo sottrarsi, bisogna rispondere partendo in primo luogo da una considerazione: siamo graziati da una situazione internazionale sfavorevole per altri, altrimenti saremmo qui, come in passato, a lamentarci che perdevamo colpi a favore di Spagna, Croazia, Grecia, Tunisia od Egitto. Se vogliamo essere realisti dobbiamo riconoscere che la frammentazione di posti letto o tavoli dove cenare è eccessiva, e la situazione può reggere solo finché c’è una domanda in qualche modo “drogata”. E al di là delle strutture, come non valutare con serenità che il livello dell’ospitalità (per il quale eravamo un tempo famosi in tutto il mondo) ha ceduto spesso il passo alla sciatteria e alla mancanza di professionalità? Che in un hotel a 4 stelle della civilissima Bolzano, in assenza di una camera pronta un giovane portiere indichi al cliente di riportarsi le valigie in auto, invece di prenderle in carico e metterle in una stanza-deposito (peraltro vuota), è un segnale che forse a livello di formazione e approccio c’è qualcosa che non va.
E la prima cosa da fare è proprio quella di una forte azione di
ammodernamento e aggiornamento a livello scolastico. Non è possibile che gli studenti degli istituti alberghieri (l’unico motore vero del settore turistico) siano istruiti da docenti spesso solo diplomati, senza esperienze, delle stesse scuole. A fianco di cuochi, barman o manager che conoscono il loro lavoro, servono insegnanti che hanno seguito
corsi di formazione universitaria. Solo così potremo sperare di avere domani
personale di sala, di cucina o di ricevimento preparato e motivato. Questa è una delle ragioni vere per le quali abbiamo lanciato la
proposta di istituire un corso di laurea per l’accoglienza.
Dirigenti di hotel, di catene di
ristoranti, di
aziende alimentari o della
pubblica amministrazione possono essere le altre opportunità di una #laureaccoglienza.