Dario Di Vico, uno dei più brillanti commentatori economici, illustrava domenica sul
Corriere della sera i profondi cambiamenti che hanno mutato in questi anni la mappa della società italiana. Messe in soffitta le divisioni fra nord e sud e quelle fra ex triangolo industriale e resto del Paese, per capire dove va l’Italia bisogna oggi tenere conto dei flussi di persone e merci, delle tendenze per cui si creano centri di polarizzazione e nuovi interessi. Il ritorno di un ruolo centrale delle città e l’importanza delle infrastrutture (dalle linee ferroviarie o internet ad alta velocità ai centri di distribuzione merci dell’e-commerce) mettono più che mai a nudo il ritardo dei politici (quasi nessuno escluso) e in genere delle istituzioni a stare dietro ai fenomeni da cui dipende la possibilità di un nuovo ciclo di sviluppo.
La parola chiave di questo momento è “attrattività”, ovvero la capacità di alcuni distretti, oppure dei comparti, di attrarre i flussi di merci e persone. Ciò che sarebbe importante oggi è essere in grado di “governare” fenomeni per molti versi nuovi, ma dai quali dipende la possibilità di generare ricchezza. Purtroppo il nostro sistema istituzionale è arretrato, obsoleto e viziato da errori clamorosi come il finto federalismo di cui si sono riempiti la bocca in passato la Lega e una sinistra strabica. Il risultato è che sulle questioni centrali su cui oggi si gioca il futuro economico, né lo Stato centrale né le Regioni sono in grado di dare risposte rapide ed efficienti. Pensiamo solo alla vergogna dello scarico di responsabilità fra istituzioni per l’epidemia di
Chikungunya, questa improbabile malattia tropicale diffusa dalle zanzare solo perché il Comune di Roma non ha adempiuto per tempo agli allarmi del ministero della Salute. Altro che autonomia e vicinanza ai cittadini...
Ma tornando allo scenario generale, sempre più segnali indicano nel turismo uno dei fenomeni positivi che, pur in questa sostanziale anarchia, sta dando risultati importanti. E del resto basterebbe vedere il boom registrato in questi mesi estivi per capire quale sia lo stato di salute del comparto. Accanto a quattro grandi poli (Roma, Firenze, Venezia e Milano, la new entry più sorprendente) che giocano su arte, storia, moda e cucina, un po’ tutti i centri minori di tutte le regioni sono toccati dal fenomeno dei flussi in crescita. Al punto che in alcune località, anche piccole, ci si pone il problema degli accessi contingentati.
Ciò che emerge è la capacità di creare situazioni nuove per attrarre turisti-consumatori. Un festival, una mostra o una gara sportiva fanno parte di queste occasioni. Spesso non sono però coordinate o non sono capaci di coinvolgere tutte le strutture specializzate nell’accoglienza (dai ristoranti agli hotel). Ciò crea periodi di punta dell’affluenza e altri di stasi, con l’impossibilità di potenziare strutture professionali capaci di competere con la concorrenza internazionale che oggi è sfavorita dai pericoli del terrorismo. Se poi pensiamo alle stupidità come le
sagre tarocche o manifestazioni di piazza che
sviliscono il valore delle nostre produzioni agroalimentari (un caso su tutti è quello del frequentatissimo “Mercatanti in fiera”, in questi giorni a Bergamo), si può capire come perdiamo l’occasione di valorizzare invece uno dei motivi in testa alle motivazioni di incoming dei turisti: l’
enogastronomia di territorio. E su tutto, come non citare la inadeguata formazione dei
professionisti che lavorano nell’ospitalità. Ma forse - vedi le
recenti interviste di Italia a Tavola ai ministri della
Pubblica istruzione e delle
Politiche agricole - qualcosa potrebbe ora muoversi addirittura
a livello universitario. Speriamo di non perdere ancora una volta il treno...