Concordiamo in pieno con l’affermazione di
Massimo Bottura secondo cui «una grande sala salva un piatto modesto, una cattiva sala rovina anche un grande piatto». Questa è la realtà, ma è anche un obiettivo che in pochi, purtroppo, raggiungono. Anzi, proprio perché
il più importante cuoco italiano rilancia questa
regola ferrea, non si può non parlare di accoglienza a rischio in Italia. Uno dei punti cardine del nostro sistema turistico (l’ospitalità declinata in tutte le sue versioni) avrebbe infatti bisogno di una seria revisione.
Se la sala sta finalmente recuperando
il ruolo che le spetta (e che comunque è determinante per il successo di un locale), ciò vale per i ristoranti di cosiddetta alta cucina o per quelli a gestione familiare. Per il resto, parlare di sciatteria o di
personale spesso impreparato, e demotivato, è purtroppo la regola. In molti casi c’è una precisa responsabilità delle
scuole alberghiere che non insegnano postura o atteggiamenti da assumere in sala. Ma molta colpa è anche dei gestori, poco attenti o magari improvvisati, che credono che basti qualche bel viso per ovviare ad un disastro nel servizio. E che dire di chi crede ancora, cercando di imitare i più famosi, che basti una toque in sala per salvare tutto?
Per non dire che l’accoglienza non parte solo da quando un cliente supera la porta di un ristorante. C’è tutto il tema della promozione e di come si presenta un locale. E qui il discorso potrebbe prevedere molti capitoli, ma limitandoci solo ai più importanti ci sono da sottolineare almeno due condizioni che oggi segnano in negativo la
ristorazione italiana sul piano dell’immagine. Da un lato c’è tutta la partita legata a TripAdvisor & company, dove scalare classifiche utilizzando commenti falsi non è solo un modo per barare, perché colpisce al cuore l’essenza dell’ospitalità, che deve basarsi su concretezza e verità.
A fianco di questa, sempre fuori da un locale, c’è una modalità dell’accoglienza che sta davvero rovinando la percezione che i turisti possono avere del nostro mondo:
gli imbonitori e i “buttadentro” che ormai dilagano nelle vie dove si trovano tanti ristoranti vicini. Fra inglese maccheronico, inflessioni dialettali e tanta sguaiatezza, nei centri storici italiani (a Roma come a Venezia, ma anche nelle località più piccole e magari toccate da un turismo forse più colto) è ormai una gara fra gli
acchiappaturisti. A Roma su 2mila locali nelle vie più centrali se ne contano almeno 600. Come dire che là dove non arrivano i certificati e le classifiche tarocche online, si investe in ragazzi sandwich che non sono certo un bel biglietto da visita per il nostro turismo e la nostra ristorazione. I centri storici sono ormai brutti non solo per i kebab o i locali di fast food, ma anche per queste figure poco professionali. Così come lo sono stati certi portieri d’albergo che nell’era pre internet per una mancia ti consigliavano il locale del cugino...