Fra sospetti su appalti e incarichi, e rassegnazione su contenuti al momento ancora fumosi, la barca dell’Expo sembra comunque avviarsi a un varo che potrebbe segnare una svolta rispetto alla sostanziale assenza di una
politica nazionale per
valorizzare la filiera agroalimentare italiana. Per sei mesi i riflettori di tutto il mondo illumineranno questo palcoscenico che, se ben organizzato, potrebbe garantire un volano ai timidi segnali di uscita dalla gravissima crisi in cui siamo precipitati a partire dal 2008.
Anche chi è critico rispetto ad un’organizzazione che non è stata in grado di mobilitare il sistema Paese per cogliere al meglio un’opportunità unica (e senza se e senza ma ci annoveriamo fra questi), non può che tifare per un successo che il nostro “Stellone” potrebbe alla fine portare a casa. È oggi interesse di tutti cercare di presentare al meglio il volto di un Paese che non vuole rassegnarsi all’emarginazione e vuole anzi avviare una nuova fase di sviluppo in cui la terra e la tavola (con tutto ciò che si collega, dalla moda alla salute, dal turismo alle attrezzature) possono e devono avere un ruolo centrale. Magari sostitutivo di quello avuto finora da un’industria manifatturiera e metalmeccanica. Una leadership economica che per numero di addetti e contributo al Pil è già nei fatti, ma che non ha alcun riconoscimento o “peso” a livello politico e sindacale.
Certo all’Expo bisogna poi stare attenti a non commettere l’errore di presentare come campioni o rappresentanti del sistema Paese solo alcuni grandi nomi (e il riferimento a Eataly è obbligato), pena la drastica riduzione di opportunità che si prospetterebbe per l’Italia. Alcune realtà sono importanti, ma non sono né esaustive né rappresentative del sistema Paese, che anzi rischierebbe di essere castrato da una sovraesposizione mediatica di alcuni marchi. L’obiettivo del 2015 deve essere quello di non sbagliare e di fare sul serio dell’Expo la
vetrina del Paese.
La ricchezza delle produzioni agroalimentari o della Cucina e dell’ospitalità italiana in sede di Expo potranno in ogni caso essere colte solo in parte. Lo sforzo vero di questi pochi mesi che ci separano dall’evento di Rho dovrebbe essere quello di attrarre
fuori dai padiglioni i visitatori di tutto il mondo e fare di tutta Italia una grande Expo. Un obiettivo che oggi è assai difficile da realizzare, ma che vale per la stragrande maggioranza delle imprese e per tutta la ristorazione che non saranno infatti presenti alla manifestazione e che sanno bene che, passati i sei mesi di attenzione, dovranno continuare a fare il loro lavoro.
Alle istituzioni tocca di valorizzare al massimo uno stile ed un sistema italiano che in passato ci hanno resi famosi in tutto il mondo per la qualità e il gusto, e che oggi rischiano di essere azzoppati fra taroccamenti e globalizzazione. Dobbiamo rialzare con forza la bandiera di una diversità di un’alimentazione magari artigianale, ma
sana e piacevole, che nulla ha a che vedere con le logiche dei
fast food americani, che anche le più recenti ricerche universitarie hanno dimostrato essere la causa di malattie e di dissesto del welfare state negli Stati Uniti. Mangiare in Italia è un’altra cosa che in gran parte del mondo, e di questa esperienza dobbiamo fare la bandiera vera di promozione in occasione dell’Expo. Ma soprattutto fuori dai padiglioni dell’Expo.