L’Italia non può pensare che il proprio vino possa essere solo esportato. Un grande Paese del vino non può perdere peso e valore nel consumo interno perché esiste un forte mercato di vendita diretta, perché i percorsi e il turismo sono elementi che creano atti di acquisto. Occorre anche che il saper consumare con gusto e misura non venga interpretato come un’occasione di abuso. Bisogna che il consumo nazionale si stabilizzi, che certe paure siano abbandonate, che il mercato estero sia affrontato in modo organico, con chi può arrivare direttamente al consumatore informato e non informato, tutti i giorni.
In ciò la Francia è stata maestra da 50 anni a questa parte, con operazioni diplomatiche, ambasciatori promoter, insegne in giro per il mondo ad aprire battenti, Sopexa. E noi? Il fattore prezzo ci avvantaggia nel mondo, meno nel nostro Paese. In Italia la soggettività e privatezza nella scelta del vino e dell’etichetta marca sempre più non solo il gusto ma anche gli atti d’acquisto. Bisogna abbandonare la litania, inutile, del rapporto qualità/prezzo come fattore determinante, quando il prezzo lo hanno sempre dettato tempi, modi, luoghi e opzioni. Anche i calcoli e le vendite per canale di operatore devono essere sostituite da contatti ad personam, area per area, dividendo lo stesso canale in più binari, occorre ampliare i punti vendita del consumo domestico, creare nuove classifiche, riconoscere e far conoscere il vino attraverso un nuovo rapporto soggettivo di valore/identità.
In tutto questo occorre che i territori del vino semplifichino tutti gli atti burocratici e amministrativi, dai controlli alla tutela, dalla certificazione alla designazione. Bisogna che un territorio, grande, sappia scegliere “il suo vino leader” e attorno a quello creare un cluster di incidenza rafforzativa, aggregante, non separata, non divisionista. Le denominazioni non possono moltiplicarsi all’infinito, abbiamo che circa il 40% delle Dop enoiche italiane non arrivano a produrre, ognuna, 50mila bottiglie, abbiamo Doc di 7-20 aziende, con tutte le problematiche e i freni burocratici che ne susseguono per le imprese. I consorzi di tutela non hanno nessuna ragione d’esistere se non cambiano pelle, dna, obiettivi e strategie.
Oggi l’aggregazione organizzativa della tutela istituzionale e della denominazione deve sapersi abbinare alla promo-commercializzazione, ai grandi distretti identificativi. I territori di produzione sono stati ben indagati e istruiti, molto meno i territori di consumo e i consumatori. Sulla stessa piazza, con gli stessi vini, a distanza di neanche 30 gg uno dall’altro, due enti dello stesso territorio, questo è successo per il vino italiano. I consorzi di tutela devono essere pochi e grandi. Gli enti pubblici devono uscire dalla pianificazione, programmazione e gestione, devono entrare nella certificazione e tracciabilità come “garante”.
Bisogna creare una scala di ruoli, unici, privati, co-finanziati dalle imprese, senza favoritismi o pro-capite o pro-censo, una vera tutela “solo” della Do e non dei produttori, devono attuare una fortissima difesa nel mondo del marchio, creare azioni di coinvolgimento BtoB. Ben vengano Do distrettuali di regioni vitivinicole ampie , non obbligatoriamente definite dai confini politici delle Regioni, ma per tipologia, per metodo intellettuale, per caratura storica, per stile tavola-territorio. Possiamo sperare di passare, in breve tempo, da 500 Do a 200, da 180 strade-consorzi a 50 istituti pro-tutela. Passatemi la battuta, mi sembra che i diritti acquisiti siano come il conflitto di interesse. Volendo si può fare subito tutto.
Ci sono esempi, pochissimi in 30 anni, ma sono state percorse delicate strade legislative, normative, costituzionali che hanno consentito grandi cambiamenti. Fare semplificazione, fare sistema, fare aggregazione non è una opzione o una alternativa, è un obbligo urgente perché vuol dire ridurre costi e tempi per le imprese, ricercare tecnici validi per il governo dei distretti, cambiare marcia, studiare e “osservare” i consumi e i consumatori per produrre quello che domandano e non vendere il vino come un cuccetta su una nave crociera.
La tappa precedente...
1) Nuove forme di consumo del vino
Scelte più oculate e maggiore soggettività
Il viaggio continua...
3) Viaggio nella Francia del sud
alla scoperta delle grandi uve bianche
4) Francia, non solo terra di vino
Dalle mele si ricavano sidro e Calvados
5) In tour dalla Loira al Reno
tra vini e formaggi d’oltralpe
6) Nelle terre dei grandi vini rossi
dilemma tra monovitigno e cuvée