Quotidiano di enogastronomia, turismo, ristorazione e accoglienza
martedì 07 gennaio 2025  | aggiornato alle 22:53 | 109949 articoli pubblicati

Siad
Siad

Il pane sulle tavole italiane? Rumeno, congelato e “migliorato”

Uno su 4 dei panini confezionati nella Gdo e nelle mense è prodotto in Romania. Gli importatori sfruttano la normativa italiana che permette di non segnalare la provenienza del pane confezionato in etichetta. Allarme anche per i correttori chimici nel pane, problema già segnalato da Italia a Tavola

02 novembre 2011 | 15:20
Il pane sulle tavole italiane? Rumeno, congelato e “migliorato”
Il pane sulle tavole italiane? Rumeno, congelato e “migliorato”

Il pane sulle tavole italiane? Rumeno, congelato e “migliorato”

Uno su 4 dei panini confezionati nella Gdo e nelle mense è prodotto in Romania. Gli importatori sfruttano la normativa italiana che permette di non segnalare la provenienza del pane confezionato in etichetta. Allarme anche per i correttori chimici nel pane, problema già segnalato da Italia a Tavola

02 novembre 2011 | 15:20
 

Il pane è stato investito da una grossa bufera, con notizie preoccupanti su tutti i fronti. Da una parte è finalmente ritornata a galla la pericolosità dei correttori chimici (i "miglioratori") nella panificazione, un problema più volte segnalato anche da Italia a Tavola e ora sollevato da Striscia la notizia, dall'altra la denuncia (del quotidiano la Repubblica), che sulle tavole italiane arriva tanto pane dell'Est congelato.

Gli importatori sfruttano infatti la normativa italiana che permette di non segnalare la provenienza del pane confezionato in etichetta, così, a oggi, secondo Federpanificatori, il 20% del pane venduto nei supermercati arriva dalla Romania e dalla Bulgaria; una cifra confermata indirettamente anche dalla Coldiretti secondo cui nell'ultimo anno le importazioni di prodotti a base di cereali dalla Romania sono più che raddoppiate.

Motivo di questo successo il prezzo: circa la metà dell'omologo prodotto italiano, per un giro d'affari di circa 500 milioni di euro. Ma, al contrario, per effetto della crisi il prezzo di vendita ai consumatori è aumentato in maniera esponenziale.



Vista l'importanza dell'argomento e la completezza delle informazioni riteniamo opportuno pubblicare integralmente l'articolo-inchiesta di Paolo Berizzi de la Repubblica.

'
La chiamavano arte bianca. Un tempo. Prima che scoprissimo la sostenibile convenienza dei fornai della Transilvania. Era un'arte bianca, rossa e verde. Adesso basta. Colpa del pane rumeno. Precotto, surgelato, riscaldato. E mangiato. Dagli italiani. Uno su quattro dei panini confezionati che troviamo nei supermercati e che mettiamo sotto i denti nelle mense e nelle tavole calde dei self service, è made in Romania. Baguette, filoni, pane a fette, pagnotte. Altro che eccellenza nostrana: il pane romanesti - niente a che vedere con quello tradizionale dolce a forma di zuccotto - lo cuociono nei forni di Bucarest, di Timisoara, di Costanza, di Cluj-Napoca. Costa meno della metà del nostro e dura due anni. 


Lo sanno bene, prima di tutti, gli importatori. In Italia - alla faccia delle direttive europee - chi vende pane confezionato che viene da fuori non è ancora obbligato a scrivere sull'etichetta la reale provenienza del prodotto. Vista così sembra una storia tipo quella degli idraulici polacchi e della pummarola cinese: miti che albeggiano e poi tramontano (quasi). Qui invece pare che siamo solo all'inizio. Lo dicono i numeri e lo temono i 24mila panificatori italiani. Che nell'ultimo anno hanno visto lievitare - fuor di metafora, è il caso di dirlo - un'importazione parallela ancora più temibile, in quanto, di fatto, pienamente conforme alla legge. Il primo a lanciare l'allarme è stato Luca Vecchiato, già presidente nazionale di Federpanificatori. A Padova la sua famiglia sforna dal 1889. «Tantissimi mangiano pane straniero, tra cui in genere anche quello a forma di baguette francese, e non sanno che è prodotto in Romania o in Bulgaria. Il 20% di quello che viene venduto nei supermercati della città e della provincia arriva da lì. è pane precotto al quale basta poi un ultimo riscaldamento in forno». 


Chiamatelo, se volete, pane globalizzato. Se sia anche taroccato e un pericolo per la salute, questo, in assenza di tracciabilità, non è dato sapere. Nella sola Romania si producono ogni anno 4 milioni di chili di pane surgelato a lunghissima conservazione (24 mesi). Il fabbisogno nazionale è basso (in confronto all'Italia che è al quarto posto in Europa dietro a Germania, Danimarca e Austria), e quindi più della metà viene esportato. Dove? Soprattutto in Italia. Nel Paese dell'arte bianca, della pasta e della pizza si stima che oltre il 25% del pane confezionato ce lo mandino la Romania e altri paesi dell'Est (Bulgaria, Ungheria, Moldavia). Un'altra conferma arriva dalla Coldiretti. Le importazioni dalla Romania di prodotti a base di cereali sono più che raddoppiate nell'ultimo anno. Ben 1,3 milioni di chili, con un più 136 per cento. Un'impennata se si pensa ai 6.733 miseri chili di dieci anni fa. «Sono gli effetti della mancanza di trasparenza sul pane in vendita - ragiona Sergio Marini, presidente Coldiretti - che impediscono al consumatore di conoscere il paese dove sono stati coltivati i cereali da è ottenuto perché non è obbligatorio indicare l'origine in etichetta. All'inizio si delocalizza la provenienza delle materie prime. Subito dopo l'impianto di trasformazione e il laboratorio artigianale».


Quanto costa il pane rumeno? Perché ne importiamo così grosse quantità? Il costo sul mercato di un chilo di pane prodotto lungo le sponde del Danubio non supera i due euro al chilo. Meno della metà di quello esposto nelle vetrine dei nostri panifici (4-5 euro). «Questa è l'unica ragione per cui i consumatori continuano a acquistarlo», aggiunge Vecchiato. Non è un miracolo dell'economia. Né un effetto impazzito della crisi economica. La filiera delle baguette rumene si basa su un abbattimento dei costi di produzione e manodopera che l'Italia non può e non potrà permettersi. Fino al 60 per cento e anche oltre. Cluj Napoca, a 440 chilometri da Bucarest, è la vecchia capitale della Transilvania. Alle porte della città sorge uno dei più grandi panifici della Romania. Da lì e da altri stabilimenti come quello proviene gran parte del pane che invade supermercati e mense del Nord e Centro Italia. Così fa anche la Slovenia, che esporta ogni giorno quintali di pane diretto a Trieste e Gorizia. Il pane dell'Est, per ora, è un giro di affari da 500 milioni di euro. Accanto ai 7,2 miliardi di fatturato dei fornai italiani pare un pezzo di mollica. Ma la lievitazione è in corso.


Paolo Berizzi

Repubblica.it


Articoli correlati
Additivi, dalla bugia del divieto all'obbligo dell'informazione
Riflessioni giuridiche sugli additivi Le contraddizioni dell'ordinanza
Pane fresco o conservato? Un consumatore su 4 non li distingue
Pane e pasta sotto tiro Troppi sprechi e speculazioni

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
Voglio ricevere le newsletter settimanali

03/11/2011 17:00:00
1) I consumatori hanno perso il contatto con la qualità
E ci risiamo!!! Ogni "tot" salta fuori la scoperta di qualcosa che non funziona nel nostro mondo. Una volta sono gli addittivi, poi la cucina molecolare, per non parlare delle polemiche ai tempi della Nouvelle Cuisine. Ora il pane. Tutto vero... o meglio... sempre e solo delle mezze verità....variabili in base a quale corrente di pensiero è allineato chi ne parla o scrive, salvo utilizzare temi o notizie che abbiano un'effetto importante su chi legge. Bene.....ma perchè non guardare anche al fatto ineludibile che il consumatore ha volutamente perduta la capacità di definire il concetto di "qualità"? Perché tenere sempre come notizia secondaria che il tutto nasce sempre e comuque da un mercato in cui l'unica vera sfida è diventata sulla corsa al ribasso dei prezzi "a prescindere"? Perché nessuno si chiede cosa finisce nel piatto di tutti coloro che rendono "vincenti" sul mercato quei locali dove ti danno il pasto completo a 10 euro e magari pure pagato con i ticket (10% di iva, 10-12% di percentuale di rimborso per i ticket significa "damblè" che al ristoratore restano meno di 8€ senza neppure avere iniziato...). Io ci vivo e lavoro nella ristorazione da sempre...ed osservo quotidianamente la corsa al panettiere che fa qualche centesimo meno dell'altro, la corsa alla lavanderia in cui poco importa se e come lava o stira purché "faccia meno", per non parlare della qualità dell'acqua minerale, che "tanto è acqua, ma 3cent. meno alla bottiglia a fine anno...fanno!". E via discorrendo... Quindi, in conclusione,...cari amici, non illudiamoci che le cose possano in qualche modo migliorare. Gli eroi ci saranno sempre...ma il mercato non è fatto dai 100 virtuosi bensì dai 100000 che cercano in qualche modo di sopravvivere...con o senza moralità e professionalità!




Julius Meiln
Bonduelle
Italmill
Cirio Conserve Italia

Julius Meiln
Bonduelle
Italmill

Cirio Conserve Italia
Molino Colombo
Consorzio Asti DOCG