I numeri parlano da soli. Da tempo la campagna, con tutte le attese che porta con sé a livello di qualità della vita, benessere e salute, è fra gli interessi e le principali motivazioni di viaggio degli italiani. Ne è un esempio preciso l'agriturismo che, grazie a una politica di prezzi abbastanza contenuta e nonostante la crisi, è riuscito ad intercettare una componente importante del turismo vacanziero e di quanti ricercano il piacere della tavola.
Non c'è ormai provincia italiana dove le strutture agrituristiche non abbiano spazio e visibilità, contribuendo con questo ad avvicinare l'agricoltura ai consumi delle famiglie. Le strutture che ospitano per la notte o fanno somministrazione di alimenti sono ormai 20mila in Italia, con un forte peso della componente femminile nella gestione. Nella gran parte dei casi si tratta di strutture interessanti, ma non mancano, come abbiamo più volte sottolineato, i veri e propri casi di abusi, dove all'originaria impostazione (prevista dalla legge) di creare un reddito aggiuntivo alle imprese agricole, si sono sovrapposte vere e proprie industrie alberghiere o di ristorazione che creano concorrenza sleale sia all'interno della categoria degli agriturismi, sia nei confronti di ristoratori o albergatori che non godono dei benefici fiscali di chi opera correttamente nel mondo agricolo.
Alla base di queste storture c'è la troppa discrezionalità con cui le Regioni hanno di fatto regolamentato il settore, quasi che per una componente così importante dell'offerta dell'ospitalità del nostro Paese non sia necessario disporre di norme valide per tutti. Anche per avviare politiche di promozione efficaci.
è quindi più che mai positiva la presa di posizione del ministro Luca Zaia che in occasione di AgrieTour - la fiera che ha confermato Arezzo come capitale dell'agriturismo italiano - ha sollecitato un ripensamento che, grazie a norme comuni, porti a una classificazione nazionale più precisa e coerente delle varie offerte in cui si articola l'agriturismo italiano. Il che, detto da un ministro leghista e federalista, è ben più di una semplice testimonianza dovuta. Tanto di cappello.
Del resto basterebbe guadarsi intorno e rendersi conto che non sono compatibili fra loro gli agriturismi che fanno della valorizzazione dei prodotti tipici (magari prodotti in gran parte in azienda) il cuore della loro proposta, e quelli, al contrario, che sono fabbriche di matrimoni o feste, con posti a tavola che farebbero invidia a grandi ristoranti, dove si mangia di tutto, meno che alimenti del territorio.
La qualità dei concorrenti al concorso di cucina contadina svoltosi in occasione di AgrieTour è lì a dimostrare di come si possa fra l'altro fare ristorazione importante (salvando tradizioni, identità e cultura) anche in un agriturismo. E di come, al tempo stesso, questo lavoro debba essere nobilitato e protetto da chi se ne approfitta e opera facendo speculazione di una sorta di marchio di garanzia...
Su queste basi, se davvero si aprirà una fase di ripensamento dell'agriturismo, varrebbe la pena di trovare il modo di abbattere gli steccati fra gli agriturismi e i ristoranti. In molti agriturismi oggi operano cuochi professionisti e le differenze restano di fatto solo fiscali. è interesse del sistema Paese contare su un'offerta capace di coniugare qualità e professionalità a tutti i livelli e in tutte le strutture, mettendo insieme tutti gli operatori che si occupano di preparazione di cibo. è quanto nel suo piccolo sta facendo il Consorzio Cuochi di Lombardia, che unisce in modo originale trattorie, ristoranti stellati e agriturismi. Un esempio che potrebbe essere esteso a tutta l'Italia per dare garanzie ai consumatori e qualificare l'offerta.
Alberto Lupini
alberto.lupini@italiaatavola.net
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