Originalità, cultura diffusa, imprenditorialità e tutela del territorio sono i valori professionali distintivi dell’area delle Orobie e, di conseguenza, dei formaggi tipici che vengono prodotti qui.
Affidandosi a questi principi è lecito ritenere quasi doveroso che un’area così ricca di materia prima, di know how, di tradizione e di passione punti a valorizzarsi, a promuoversi e a candidarsi come uno dei “patrimoni” Unesco.
L’idea della Cheese valley, che vuole Bergamo candidata a Città Creativa dell’Unesco insieme a Lecco e Sondrio in nome dei formaggi orobici è un’
occasione da cogliere per un salto di qualità turistico, gastronomico ed economico.
(foto: parcorobie.it)
Al centro di tutto questo progetto c’è una cultura casearia secolare che non ha eguali per diffusione e biodiversità sviluppata quasi come unica possibilità per resistere in un territorio difficile e che (al di là di una strada importante nel periodo pre-moderno, come la via Priula) è stata all’insegna dell’isolamento.
In queste condizioni si è però sviluppata una cultura che, un po’ come per i “Bastagi”, o i “Caravana”, i facchini nei porti di Venezia, Genova e di tante altre città, ha portato in giro per l’Italia nei secoli i “malghesi” e i “vaccari” delle Orobie per effettuare le transumanze guidate non a caso dai “bergamini” con tanto di cane pastore bergamasco (forse in assoluto il più adatto per gli alpeggi) o per fare formaggio e commercializzarlo.
Dalla montagna alle pianure gli orobici (una comunità che al di là dei confini univa culturalmente ed economicamente anche Valsassina, Valtellina e parte delle aree montane bresciane) univano il commercio dei formaggio con quello di altri prodotti, in un humus di trasposti e movimenti da cui è nato anche il sistema postale dei Tasso, generando poi quelle che nel Novecento sono diventate le prime grandi industrie alimentari italiane con sedi in Lombardia e nella pianura Padana, i cui marchi sono ancora del tutto attivi e in alcuni casi sono leader di settore. Locatelli, Galbani, Invernizzi, Arrigoni, Cademartori, Mauri, Zanetti, solo per citarne alcuni.
Il cuore di questo sistema è sempre però restata la montagna, con le sue produzioni artigianali e di eccellenze, diverse e in gara per la qualità. Al punto che ancora oggi, pur in presenza di una elevata concentrazioni di attività casearie in pianura, l’area della Orobie, con le immagini delle vacche la pascolo, è il riferimento simbolico. Ed del resto i suoi prodotti sono un po’ i cru di una ipotetica grande vigna che prouce latte invece che vino.
L’obiettivo lo sta perseguendo con decisione l’associazione San Matteo - Le Tre Signorie, anche con l’attuazione di alcuni progetti come I Formaggi Principi delle Orobie (che per la prima volta era riuscito a far lavorare insieme i produttori di sei formaggi diversi). Pensiamo a alla Polenta Taragna orobica (il piatto che unisce tutte le cime delle Orobie), alla secolare Fiera di San Matteo di Branzi, riportata ad antichi splendori dopo anni di oblio quale testimonianza di questa cultura montana, anni riportandola agli antichi splendori. Fino al Progetto Forme, ideato per lanciare ulteriormente la produzione lattiero casearia, orobica ma non solo.
Le Orobie insomma sono un’area da tutelare e valorizzare per garantirne un futuro che oggi potrebbe poggiare su un turismo alto e leggero, ma non per questo meno interessante economicamente