Vino e cambiamento climatico: un aiuto da carbon farming e viticoltura rigenerativa

I processi di agricoltura rigenerativa e gli interventi con tecnologie e apporti innovativi (senza chimica di sintesi) creano le condizioni per un’agricoltura in vigneto alleata nella riduzione dell'anidride carbonica in atmosfera : il carbon farming trasforma l'agricoltura intensiva in un'arma proprio contro la CO2, mentre viticoltura rigenerativa e biochar sono strategie chiave per sequestrare il carbonio e ridurre le emissioni

12 ottobre 2024 | 05:00
di Giambattista Marchetto

Le piante catturano l’anidride carbonica. Sì, lo imparano i bambini sui banchi di scuola. Eppure si scopre, leggendo i dati della European Environmental Agency, che l’agricoltura è responsabile di circa il 10% delle emissioni totali del continente - il che significa oltre 385 milioni di tonnellate di CO2 emesse. Siamo ben lontani dalle emissioni del settore trasporti o dell’energia, eppure a leggere questi numeri si rimane stupiti. Sì, perché il mondo vegetale - dai prati alle foreste - è un alleato anti-CO2, eppure la componente “umanizzata”, ovvero gestita con processi agricoli (intensivi), si rivela nemica del pianeta. Sì, serve una specifica sull’approccio intensivo, perché l’applicazione dei principi di “carbon farming” (ovvero una “coltura del carbonio”) permette di mettere a terra processi agricoli capaci di immagazzinare e bloccare il carbonio nel suolo, con l’obiettivo di non farlo finire in atmosfera. Questo processo va in contrasto con la più diffusa pratica dell’agricoltura intensiva e si sposa invece efficacemente con pratiche di agricoltura rigenerativa e biologica.

Perché applicare la carbon farming?

Considerata una priorità dalla Commissione Europea, che ha in previsione lo stanziamento di contributi mirati, l’adozione di processi di carbon farming include interventi massicci di riforestazione delle aree disboscate dall’intervento antropico, lo sviluppo di prati stabili destinati a pascolo, il ripristino di zone umide. È però soprattutto attraverso un ripensamento dell’approccio agricolo in chiave rigenerativa che si possono trasformare in carbon negative attività che oggi portano ad emissioni di CO2. Le pratiche agricole rigenerative, in particolare, possono contribuire alla riduzione delle emissioni perché cambiano alcuni paradigmi di coltivazione, prevedendo una drastica riduzione delle lavorazioni che modificano e impoveriscono il suolo, l’utilizzo di fertilizzanti ricchi di carbonio e la piantumazione di alberi e colture (biodiversità) in grado di assorbire l’anidride carbonica dall’atmosfera.

Ecco allora i tre nuclei principali di intervento (o non intervento) che portano vantaggio all’atmosfera terrestre e che per la verità in ambito vitivinicolo sono già molto applicati, almeno in Italia: la cosiddetta agroforestazione, ovvero un ritorno all’introduzione di alberi nei contesti agricoli, portando una biodiversità che fa bene alle colture e consentendo alle radici di trattenere una maggiore quantità di carbonio nel suolo; l’utilizzo del maggese (sì, quello che si studia a scuola come un vocabolo quasi poetico) per mettere a riposo i terreni e ricostruire la fertilità persa con la monocoltura; le colture di copertura che riattivano il terreno dopo il raccolto.

Fissare la CO2 in viticoltura

Come si traduce tutto questo in viticoltura? «La viticoltura rigenerativa si basa su un approccio che mira a ripristinare e migliorare la salute del suolo e l'ecosistema - spiega Marco Poggianella dell’azienda specializzata SOP Resonant - andando oltre la semplice sostenibilità. Questa pratica si concentra sulla rigenerazione della struttura del suolo, promuovendo la biodiversità microbiologica e la sua capacità di sequestrare carbonio. Le sue origini moderne affondano le radici nel movimento dell'agricoltura rigenerativa, che si sviluppa come risposta alle pratiche agricole intensive che impoveriscono il suolo». Le tecniche rigenerative prevedono appunto una limitata lavorazione del terreno, l’eliminazione della chimica e colture di copertura per proteggere e arricchire il suolo. Inoltre, con l’utilizzo di tecnologie avanzate come quelle della linea Resonant di SOP, è possibile rafforzare la componente microbiologica. «I microrganismi - rivela Poggianell - hanno un impatto diretto sull'aumento della biomassa radicale. E questo porta a una maggiore capacità di sequestrare carbonio nel suolo e a migliorare la fertilità naturale senza l’uso di fertilizzanti chimici».

Viticoltura e cambiamento climatico

La viticoltura sta dunque emergendo come protagonista nella lotta al cambiamento climatico su due fronti principali. Da un lato con una riduzione drastica dell’impatto produttivo. Il focus sul rispetto del suolo e della sua biodiversità microbiologica «permette di eliminare o ridurre drasticamente l’uso di fertilizzanti chimici - chiarisce il fondatore di Resonant - che sono altamente impattanti in termini di emissioni di CO2 equivalente. I fertilizzanti chimici, derivati dal petrolio, richiedono una produzione ad alta intensità energetica e la loro distribuzione nei campi, attraverso i trasporti, contribuisce significativamente alle emissioni globali. Riducendo la dipendenza da tali fertilizzanti, i vigneti possono abbattere una parte considerevole del loro impatto climatico».

D’altro canto i vigneti possono essere visti come «sequestratori di CO2», dichiara il tecnico. «Soluzioni avanzate come quelle proposte da Resonant stimolano l’aumento della biomassa radicale. E un maggiore sviluppo delle radici e della vegetazione superficiale (foglie) consente di assorbire più CO2 dall’atmosfera. Inoltre, queste tecnologie favoriscono la riduzione del numero di gemme cieche (favorendo la produzione) e una migliore lignificazione dei tralci, un processo che intrappola ulteriore carbonio. Infine, quando le foglie e i tralci vengono potati possono essere compostati e restituiti al suolo, reintegrando carbonio e nutrienti, chiudendo così il ciclo e migliorando la fertilità del suolo».

Il progetto “Acchiappacarbonio”

In questa direzione si muove anche il progetto Acchiappacarbonio (finanziato dal Psr della Regione Emilia-Romagna) centrato sulla carbonizzazione dei residui e degli scarti agricoli attraverso la pirolisi. Il risultato è un ammendante chiamato Biochar che arricchisce il terreno di sostanza organica e ha la capacità di trattenere l'acqua rilasciandola in maniera graduale, ma soprattutto in fase di produzione sequestra più carbonio di quanto ne viene immesso in atmosfera.

Anche il progetto Autentica, che lavora su prodotti per la gestione agronomica orientati alla viticoltura rigenerativa, si sta concentrando sulla microbiologia dei terreni. «La rigenerazione dei suoli porta ad una capacità rafforzata di reagire alle spinte estreme della natura - chiosa l’agronomo specializzato Federico Ricci - e tutto parte dalla gestione agronomica, cercando di arrivare alla minor lavorazione possibile. La chiave di tutto è però definire la qualità e la quantità di attività microbica che abbiamo nel suolo. Con Autentica stiamo lavorando a un progetto con l’Università di Firenze proprio per studiare l’impatto dei nostri prodotti sulla vitalità dei suoli. I fermentati naturali, i tannini naturali da ligustro o dai vinaccioli, ma anche polisaccaridi derivati dal lievito possono aiutare la pianta a vivere meglio anche in una condizione non naturale qual è il vigneto. E naturalmente sono utili i sovesci».

Per lavorare sulla vitalità del suolo, però, è necessario conoscerlo. «O si ricorre ad approccio biodinamico - spiega - per cui valuto funzionalità e presenza di microrganismi in base a indicatori vegetali, ma non sono dati precisi. Oppure si fanno analisi accurate per verificare la popolazione di funghi, protozoi, nematodi e batteri (che sono dai forti fissatori di CO2), definendo quindi un intervento che privilegi una situazione positiva per la pianta». Grazie a queste tecniche e tecnologie, la viticoltura non solo diventa più sostenibile, ma offre anche un contributo attivo alla riduzione dei gas serra e al miglioramento della qualità del prodotto finale.

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Alberto Lupini


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