Svelati i segreti per realizzare un Vermouth perfetto

Al Salone del Vermouth spiegato il ruolo fondamentale del master herbalist, ossia quello di selezionare e miscelare le erbe aromatiche e supervisionare tutti i processi che portano al prodotto finale

02 marzo 2024 | 16:51
di Daniele Alessandrini

Nonostante duemila anni di storia a partire dal tedesco wermut wein (vino all’assenzio) e transitando per la fine del ‘700 - quando a Torino Antonio Carpano cominciò a produrre e commercializzare la sua creatura chiamata Vermouth proponendola come aperitivo e non come bevanda medicinale - si è atteso il 2024 per dare vita al primo evento esclusivamente dedicato al vino liquoroso torinese alle erbe aromatiche. Protagonisti 24 produttori su iniziativa di Laura Carello di MT Magazine in collaborazione con l'associazione Eat Bin e l’agenzia To Be.

Successo per gli eventi del Salone del Vermouth

Il programma enogastronomico ha preso il via lunedì 19 febbraio con gli appuntamenti del Fuori Salone e si è sviluppato per tutta la settimana prima del weekend finale. Masterclass, laboratori interattivi di miscelazione, degustazioni, aperitivi e cene hanno riguardato numerosi cocktail-bar e ristoranti torinesi e i musei Carpano e Lavazza. Sette gli appuntamenti divulgativi al Museo del Risorgimento con degustazioni libere finali all’insegna del motto «è sempre l’ora del Vermouth di Torino», con interviste ai professionisti del settore e interazione da parte del pubblico.

Al Salone del Vermouth master blender e master herbalist

Uno dei talk ha visto protagonisti Beppe Musso (master blender di Martini&Rossi e ambasciatore del Consorzio del Vermouth di Torino), Matteo Bonoli (master herbalist di Branca - Carpano) e Fulvio Piccinino (bartender, scrittore e docente di scienze gastronomiche all’Università di Pollenzo) intervistati dal giornalista Carlo Carnevale.

Il ruolo del master herbalist è quello di selezionare e miscelare le erbe aromatiche e supervisionare tutti i processi che portano al prodotto finale. Una figura molto conosciuta nel campo dei distillati (i master distiller whisky ad esempio), meno nel mondo del vermouth. Bonoli, dopo aver sottolineato che Musso è stato il primo professionista insignito di tale titolo, ha toccato il tema del cambiamento climatico calandosi nel ruolo che sente suo di “contadino della Romagna”.

Il problema degli approvvigionamenti delle materie prime - degli assenzi in primo luogo - è infatti molto attuale. Le erbe vanno trattate con cautela nei dosaggi e nella lavorazione. I controlli-qualità imposti dalla legge alle aziende che producono vermouth a livello industriale sono un plus per la tutela della salute del consumatore.

Il vino (base del Vermouth) e i cocktail

Il vino costituisce la base del vermouth, lo “scheletro” come ha spiegato Musso, che nasce enologo e ha parlato delle competenze necessarie per assemblare le caratteristiche vinose con quelle delle erbe, di cui l’artemisia assenzio è la più importante.

Da sommelier e appassionato di enologia ho chiesto quanto sia importante tale “scheletro" e quali vini siano più adatti al vermouth. È emersa l’importanza di un vino bianco leggero con caratteristiche costanti nel tempo, buona acidità per garantire freschezza («vivezza») e uno spettro aromatico poco invasivo rispetto alle erbe e alle spezie. Il vino rosso si usa poco a causa dei tannini e di altre sostanze contenute nelle bucce. Il colore rosso del vermouth dipende dal caramello.

Per restare in tema di clima e siccità, Musso ha spiegato che in alcune regioni italiane è sempre più difficile trovare fornitori di vino a causa della consistente riduzione della produzione vinicola. Piccinino ha parlato della riscoperta delle miscelazioni classiche all’inizio degli anni duemila grazie agli americani, dopo un periodo buio in cui le novità del mondo dei cocktail erano rappresentate da miscugli improvvisati da altrettanto improvvisati barman.

Nelle prime masterclass di circa quindici anni fa, Piccinino faceva assaggiare diversi vermouth spiegando quali erbe contenevano. Nel tempo notò che il pubblico esigeva di più, voleva “esperienze” più profonde e i suoi laboratori diventarono un momento di mixologia di base. Ciascun partecipante disponeva di piante, erbe, spezie, vino e zucchero per fare il proprio personalissimo vermouth e comprendere quanto fosse importante studiare le erbe in natura, essiccate e in macerazione.

Storia e disciplinari del Vermouth

In Italia negli anni ‘30 il vermouth la faceva da padrone nelle misture (per legge si dovevano chiamare così) e compariva in più di 700 ricette su un migliaio in totale. Più di cento marchi storici producevano vermouth in Piemonte, alcuni recuperati in tempi moderni.

La tradizione del sapere da persona a persona all’interno delle aziende produttrici è un valore fondamentale inestimabile, un momento quasi mistico in cui si trasferiscono i segreti del mestiere della selezione e della miscelazione degli ingredienti.

A proposito della salvaguardia delle tradizioni, il disciplinare del Vermouth di Torino prevede in primo luogo l’utilizzo dell’artemisia absinthium e dell’artemisia pontica. La versione “Superiore” esige la presenza di vino fatto in Piemonte in una percentuale pari ad almeno il 50% in volume del prodotto finito. Nel 1991 l’indicazione geografica “Vermut o Vermouth di Torino Igp” è diventata denominazione protetta dalla Comunità Europea.

Il successo del primo appuntamento del Salone del Vermouth getta le basi della seconda edizione che si svolgerà il prossimo anno nello stesso periodo, come anticipato dagli organizzatori.

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Alberto Lupini


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