Per quanto oggi nel centro Italia, al confine tra Lazio e Umbria, siano vari e validi i produttori di grechetto, se questa varietà autoctona di uva bianca potesse dire il suo personale grazie a un personaggio che ha contribuito alla sua affermazione, questo ringraziamento senza ombra di dubbio andrebbe a Sergio Mottura.
Un uomo di origini piemontesi che, ereditata l'azienda (erano ancora gli anni della mezzadria) dallo zio, nel corso degli anni è riuscito a far scoprire ai laziali le potenzialità, le qualità e le declinazioni di questo bianco decisamente sui generis. Un bianco un tempo sottovalutato ma dimostratosi, se ben lavorato, anche adatto all'invecchiamento. Un vino dalla non indifferente componente tannica (anche da qui la capacità di invecchiare) al punto da essere considerato quasi il rosso dei bianchi.
Oggi tutti i bravi produttori di grechetto della zona, e ce ne sono, possono essere considerati quasi i figli di Sergio Mottura. Insieme stanno riuscendo a creare attorno a questo uvaggio un interessante movimento ben conosciuto in zona, ma che probabilmente non ha ancora espresso tutto il suo potenziale. Un movimento che, a suo modo, è protagonista di un evento diventato ormai storico: siamo infatti a Civitella d'Agliano, piccolo borgo in provincia di Viterbo in cui ogni estate, da 20 anni, si svolge il festival "Nelle Terre del Grechetto". Per l'occasione abbiamo incontrato Sergio e abbiamo parlato con suo figlio Giuseppe, responsabile della cantina, con il quale abbiamo non solo fatto un viaggio nella storia dell'azienda, ma abbiamo anche capito perché il grechetto possa essere così importante per la zona.
Non potevamo però non partire dalla più stretta attualità. Qualche giorno fa avevamo parlato di come l' emergenza climatica abbia messo in crisi non solo il comparto vinicolo italiano, ma anche il settore legato alla produzione di olio.
Mottura a Italia a Tavola: «Clima? Così il biologico è difficile»
Si parla molto di agricoltura messa in crisi dagli agenti atmosferici estremi, ci dai un tuo bilancio della situazione?
Negli ultimi tre anni abbiamo avuto altrettante emergenze climatiche, completamente diverse una dall’altra. Nell’aprile del 2021 abbiamo avuto una gelata, il 2022 è stata un’annata siccitosa e il 2023 tra maggio e giugno una piovosa con annessi problemi di peronospora. Tre annate completamente diverse: il cambiamento climatico si sta dimostrando un moltiplicarsi di fenomeni fuori dal normale, di tutti i tipi. Le stime di quest’anno parlano di una perdita sicura di almeno il 40-50% della produzione, che è un po’ la media di tutte le aziende bio. Noi lo siamo biologici dal 1996 e ci puntiamo molto, anche con metodi alternativi e più sostenibili per il terreno e l’ambiente, usando prodotti organici al posto del rame, che pur essendo ammesso in biologico è comunque un metallo pesante che arriva ad accumularsi nel terreno.
Parlando invece di storia, ci racconti quella dell’azienda?
L’azienda venne acquistata nel 1933 dal mio pro zio, Alessandro Mottura, ingegnere piemontese, e per decenni rimane sotto la mezzadria. Era un’azienda che aveva 21 mezzadrie, cioè 21 case coloniche in cui in ognuna viveva uno o più famiglie che gestivano un preciso nucleo dell’azienda. Ogni famiglia era insomma quasi una piccola azienda a sé stante, che coltivava un po’ di tutto. A metà anni ’60 la mezzadria viene abolita e nello stesso periodo mio padre, Sergio, arriva qui e inizia la sua nuova era diventando al contempo proprietario e produttore agricolo. Comincia a gestire i vigneti in maniera più moderna, diventando a tutti gli effetti un imprenditore. I vini che facciamo oggi sono conseguenza delle scelte fatte al tempo da mio padre.
Tuo padre aveva esperienza nel settore o è stato autodidatta?
Lui arriva qui all’età di 23 anni senza nessuna conoscenza agricola e accumula tutta la sua esperienza sul campo. Si affida a enologi per la parte di vinificazione ma le scelte fondamentali dipendono da lui. Quali sono queste scelte: per esempio quella del biologico che inizia a maturare a fine anni 80, con la conversione iniziata nel 1991. La scelta del Grechetto arriva quasi subito, quando intuisce le sue potenzialità naturali e decide che su questo vigneto avrebbe fondato la sua produzione, creandoci vini importanti. Scelte che nel tempo gli hanno dato ragione.
Sergio Mottura: i vini dell'azienda
Siete indubbiamente una delle maggiori cantine del territorio: sentite la responsabilità di mantenere costantemente alti gli standard e il livello della produzione?
Il percorso dell’azienda è sempre stato quello di un miglioramento qualitativo continuo: indipendentemente da tutto è il nostro modo di essere vignaioli. Il lavoro, da mio padre a me, è sempre in questa direzione. La pressione maggiore, per così dire, è legata al fatto di non far percepire la nostra azienda come brand privato forte, ma esser parte di un gruppo di altre aziende per creare una sorta di marchio collettivo. Il Lazio vive di denominazioni di origine molto deboli: le aziende singole non riescono a incidere come si deve sul mercato, quindi c’è bisogno di cooperazione e sinergia tra produttori. Stiamo cercando di coinvolgere altre aziende per creare una denominazione forte per quanto riguarda la nostra zona, che possa anche contribuire alla crescita del territorio. In questa parte del viterbese secondo me va ancora sviluppata molto la parte del grechetto in purezza, creandogli attorno una vera denominazione. Discorso che vale per altri vitigni autoctoni per dare al territorio un’identità che ancora manca.
Avete fondato il nome dell'azienda sul grechetto. Come presenteresti questo vitigno a chi non lo conosce?
Possiamo fare un paragone: se il Sagrantino è l’uva rossa italiana più ricca di polifenoli, il Grechetto è il suo equivalente bianco. Ciò gli dà un’identità molto forte, oltre una capacità di invecchiamento molto importante. Lavorando sul grechetto ci si accorge della sua capacità di invecchiamento e in questo sta una delle sue caratteristiche. Il fatto che invecchi è la dimostrazione della sua grandezza qualitativa. Rientra tra i grandi vitigni bianchi autoctoni italiani, anche se di fatto è stato scoperto da relativamente poco tempo, 60 o 70 anni.
A questo punto dacci tre consigli di abbinamento per i tuoi vini. Con quali ricette li accompagni?
Il primo è un abbinamento che rubo da un amico sommelier romano, del ristorante Alfredo. Il vino Poggio della Costa è il nostro grechetto in purezza affinato in acciaio, e viene accostato alle fettuccine Alfredo. C’è poi un abbinamento molto tradizionale in questa zona, vino bianco e oca al forno. La Torre a Civitella, grechetto che fa anche legno, a me piace molto con questo richiamo alla cucina contadina locale di un tempo. Il muffato non è abbinabile al dolce secondo me, ma l’accostamento va fatto per contrasto: quindi con salato, magari ai formaggi classici del viterbese come il pecorino stagionato.
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Alberto Lupini
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