Un anno enologico difficile (eufemismo) si chiude a Milano sotto buoni auspici, grazie a un grande protagonista: il Pinot Nero in tutte le sue accezioni. L’evento “Talk ‘n Toast - Conversazioni sul Pinot Nero”, organizzato al ristorante DaDa in Taverna vicino alla storica Torre dei Morigi, ha puntato l’obiettivo sull’Oltrepò pavese, ricostruendo vicinanze e distanze riconducibili all’origine secolare del vitigno: la Borgogna.
A Milano giornalisti e produttori si sono confrontati sul Pinot Nero
Obiettivo puntato sull’Oltrepò
L’obiettivo è dunque puntato sull’Oltrepò, che con i suoi oltre 13mila ettari costituisce il 60% di tutta la superficie vitata lombarda, e in particolare può essere considerato la culla italiana del Pinot Nero, dato che risulta al primo posto per estensione coltivata proprio con questo storico vitigno. La cui notorietà mondiale è dovuta alla tradizione millenaria e alla diffusione in quattro continenti, ma anche alla versatilità: la produzione, infatti, si estende a tutte le possibili vinificazioni, dal bianco al Metodo Classico e Martinotti, fino al rosso e rosso riserva, senza escludere nemmeno il rosato.
L’evento ha consentito di scoprire nuove sfumature attraverso la narrazione dei due terroir, in un interessante confronto tra Armando Castagno, critico e autore del libro “Le vigne della Côte d’Or” sulla Borgogna, e Filippo Bartolotta, da oltre vent’anni comunicatore del vino italiano nel mondo.
Ventitré i produttori presenti
«I 23 produttori presenti - spiega Filippo Bartolotta - stanno a dimostrare che bisogna comunicare meglio e più diffusamente l’evoluzione di questo territorio verso livelli di prestigio internazionale. Nell’Oltrepò, infatti, troviamo tremila ettari di quest’uva magnifica, coltivata in un terroir ben definito storicamente e geograficamente: un triangolo quasi equilatero con la base costituita dal Po e dalla via Emilia che sale verso sud fino a 1700 metri. Un terroir che merita più attenzione, visto che il Pinot Nero dell’Oltrepò, in tutte le sue forme, non ha un marchio forte e riconosciuto come meriterebbe. Dal punto di vista geologico la parte più bassa ha origine 5 milioni di anni fa, ed è composta di argille e sabbie; man mano che si sale compaiono componenti calcaree e vene gessose, che danno sapidità al vino: nella fascia superiore che sale verso l’Appennino ci vengono incontro aree di terreno Tortoniano, risalente a 15 milioni di anni fa, per poi arrivare alle zone più alte, basate prevalentemente sull’arenaria, ancora più antica. Visitando il triangolo a piedi o in bicicletta, si individuano spesso piccole alture a forma di panettone, ove la superficie vitata beneficia di un’esposizione ottimale e la lavorazione con i macchinari è evidentemente impossibile. Qui si fa vino da sempre, possiamo dire: Strabone, il celebre geografo-storico greco già nel 40 a.C. racconta dell’Oltrepò come terra di gente ospitale, dove si produce un gran vino. Qui il Pinot Nero ha trovato i suoi natali verso la metà dell’800 e, nel 1865 nasce il primo metodo classico italiano grazie al lavoro del Conte Vistarino e dell’imprenditore Carlo Gancia. Una storia costruita da una collettività che adesso ha deciso di crederci un po’ di più e di rivelare con più decisione il lavoro svolto in questi ultimi anni».
«A un certo punto ci si accorge - racconta Armando Castagno - che un determinato terroir possiede caratteristiche eccezionali, e direi che la storia dell’enologia è piena di queste scoperte. Le zone classiche del vino mondiale sono venute alla luce proprio così, come una rivelazione. La definizione francese di terroir ha in sé il germe della ricerca continua, inesausta: quella elaborata dall’Inao, l’ente francese responsabile delle denominazioni di origine protette, inquadra il terroir come uno spazio geografico delimitato, e questo è già importante: si fa infatti riferimento a qualcosa di non troppo ampio, in grado di racchiudere un’identità morfologica, storica e geografica. Proprio come l’Oltrepò, che non a caso incarna una sua precisa denominazione geografica. Entro tali confini territoriali una comunità umana, composta non solo da vignaioli ma da tutti gli abitanti, costruisce nel tempo un sistema di sapere collettivo, e quindi condiviso; nato, com’è evidente, secoli prima che Internet rendesse elementare e quasi banale condividere il sapere. Che si basa sulle interazioni, e qui sta il suo valore, fra comunità umana, vitigno e territorio. Io credo che i vignaioli dell’Oltrepò, che da quasi due secoli lavorano con il Pinot Nero, inseguendone le espressioni straordinarie, stiano adesso marciando tutti insieme, con una coesione che è condizione fondamentale, lungo questo percorso di conoscenza. Penso che la parola che dovrà scandire questo itinerario sia “rigore”: a livello associativo, di viticoltura, di produzione, di disciplinare, di comunicazione, di sostenibilità economica; in sostanza a tutti i livelli».
Ventitré aziende fanno squadra per valorizzare l’Oltrepo'. Foto: Edoardo Vaccaroli
In degustazione: Pinot Nero vinificato in rosso e Metodo Classico
Al "talk" è seguito il "toast", con la degustazione del Pinot Nero vinificato in rosso e degli Oltrepò Pavese Metodo Classico delle 23 cantine partecipanti: Alessio Brandolini, Ballabio, Bruno Verdi, Cantina La Versa, Cantina Scuropasso, Castello di Cigognola, Conte Vistarino, Cordero San Giorgio, Finigeto, Frecciarossa, Giorgi, Giulio Fiamberti, La Genisia, La Piotta, La Travaglina, Manuelina, Marchesi Adorno, Monsupello, Montelio, Pietro Torti, Quaquarini, Tenuta Mazzolino, Travaglino.