Nei vini dell'Etna i racconti austeri del vulcano
Sono 166 i produttori di vini Etna Doc, che interpretano ciascuno a modo proprio la grande varietà dei terreni lavici di questa straordinaria “creatura”. Conosciamoli con il presidente del Consorzio Francesco Cambria
I dati più recenti parlano di 4,5 milioni di bottiglie prodotte, riferiti a tutte le tipologie di vino: rossi, rosati, bianchi, bollicine… Numeri cui fa seguito una qualità indiscussa della materia prima, un unicum che sta segnando la grande originalità di ogni annata prodotta e tutto il fascino di un territorio unico al mondo. Il contesto di cui scriviamo è naturalmente quello dell’Etna Doc, il cui nome risuona ormai da anni in ambito mondiale. Se il vulcano Etna è il “faro naturale” per i siciliani, ecco che anche sul fronte dei vini il vulcano sta segnando ormai da anni il passo di una produzione sempre più eccellente, apprezzata moltissimo in ambito nazionale e internazionale.
Sempre secondo i dati aggiornati, sono 166 i produttori di vini Etna Doc, che interpretano ciascuno a modo proprio la grande varietà dei terreni lavici di questa straordinaria “creatura” di oltre tremila metri e che vanta una storia di 600mila anni e una nascita da eruzioni sottomarine. Già solo in questa breve descrizione ci si accorge del grande fascino che esercita il territorio anche sulle produzioni vitivinicole, che diventano non solo cifre di marketing e commerciali, ma soprattutto story telling che sfiorano miti e leggende.
Alla scoperta dei vini del vulcano
Per conoscere più da vicino questa straordinaria produzione vitivinicola, abbiamo sentito il presidente del Consorzio di tutela vini Etna Doc, Francesco Cambria. Giovane produttore, 44 anni, titolare con la famiglia dell’azienda Cottanera, Cambria è alla guida del Consorzio dal dicembre scorso e prima ancora ha fatto parte del direttivo.
Presidente, l’Etna Doc ci sembra che goda di ottima salute?
Assolutamente sì, sia sotto il profilo dei nuovi investimenti e dello sviluppo sia sotto quello della percezione da parte dei consumatori. Un apprezzamento che si traduce in una richiesta continua e costante dei nostri prodotti, testimoniata dai numeri degli imbottigliamenti, come dimostra il primo semestre del 2022, abbondantemente oltre rispetto al recente passato.
Non crede che questa grande richiesta e attenzione verso il territorio possa portare a un certo stress la stessa produzione?
No, poiché proprio il Consorzio in maniera lungimirante già dallo scorso mandato, quando ancora ero semplicemente nel direttivo, ha deliberato la chiusura a impiantare nuove vigne, per cui il rischio di una inflazione del prodotto è tenuto abbastanza sotto controllo.
E sul rischio, invece, che tutta questa attenzione possa essere solo una “moda” dell’Etna? C’è stata una grande attenzione in passato per il Nero d’Avola, ad esempio, e anche lì si parlò di “moda”, senza rendere onore a questo grande vitigno?
No, i nostri impianti sono tutti sotto controllo e l’areale per produrre l’Etna Doc è, naturalmente, molto più piccolo rispetto a quello dedicato e vocato per il Nero d’Avola.
In cosa consiste, dunque, l’unicità dei vini della Doc Etna?
Nella sua speciale diversità e nelle tante biodiversità che insistono sul nostro territorio, dalle caratteristiche uniche. Parliamo di un unicum con tante sfaccettature, che emergono da vigna a vigna, dove le colate laviche di diverse annate la fanno da padrone. Da qui, la mineralità, il territorio che esce fuori da ogni produzione, ciascuna diversa dall’altra, anche a distanza di poche centinaia di metri tra un’azienda e l’altra, tra una cantina e l’altra.
Allora, nella “mezzaluna” che disegna l’Etna Doc, tutti i versanti hanno la loro importanza?
Assolutamente sì, ciascuno dicevo con le proprie caratteristiche uniche.
Un toscano, Andrea Franchetti, scomparso da poco e da tutti stimato e ricordato giustamente come grande produttore tra la Toscana e il vulcano, ha fondato “Contrade dell’Etna”. Questo, assieme ai tanti investimenti che arrivano da fuori dell’Isola, conferma l’apertura del territorio etneo?
Assolutamente sì! Tra l’altro, oggi sull’Etna, se si escludono gli imprenditori e produttori siciliani, troviamo grandi nomi di imprenditori di altre regioni, piemontesi o veneti ad esempio, che hanno deciso di investire qui da noi e questo non può che farci fa crescere.
I vitigni dell’Etna Doc
Nerello Mascalese
È il vitigno rosso simbolo stesso dell’Etna, la cui origine si perde nell’antichità. La sua coltivazione può essere considerata “eroica”, viste le pendenze a cui molte vigne dell’Etna Doc sono sottoposte. Tra le caratteristiche che contraddistinguono la sua coltivazione e, di conseguenza, la produzione dei vini dell’Etna, certamente ci sono le forti escursioni termiche tra il giorno e la notte e le diverse condizioni climatiche da un versante all’altro del vulcano. È oggi utilizzato, secondo il disciplinare, per la produzione degli Etna Doc Rossi, Rosati e gli Spumanti.
Nerello Cappuccio
Altro vitigno fondamentale per la produzione dei vini rossi. Il suo nome suscita accostamenti quasi poetici, dato che deriva proprio dal portamento della chioma “a cappuccio” della vite da cui nasce. Il colore è di un rosso davvero molto intenso e, proprio per questo, la sua percentuale utilizzata per l’Etna Doc dona alle produzioni un colore deciso e caratteristico del vulcano. Non trascurabile nemmeno il suo potenziale olfattivo, che si aggiunge a quello già intenso del “fratello maggiore” Nerello Mascalese. Anche il Nerello Cappuccio può entrare nella composizione dei vini Etna Doc Rosso, Rosato e Spumante.
Carricante
Il nome deriva dall’abbondanza delle uve prodotte, che andavano a colmare i carretti usati per trasportare l’uva. È l’antico vitigno a bacca bianca del vulcano e ha una tempra molto forte, arrivando spesso a pendenze dove perfino il Nerello Mascalese fatica a maturare. È, forse, l’espressione più elegante e intensa della tanto decantata mineralità dell’Etna, coltivato com’è su terreni di sabbie vulcaniche, appunto ricche di minerali. Nella mezzaluna dell’Etna Doc, occupa soprattutto la parte orientale, mentre le sue vigne guardano il mare Mediterraneo e le calme onde del mare Jonio. Nella zona del Comune di Milo (Ct) si produce l’Etna Bianco “Superiore”. Si sposa bene con altri vitigni, come il Catarratto e l’Inzolia, ma anche con la meno diffusa Minnella Bianca.
Catarratto
Si può utilizzare per la produzione di Etna Bianco Doc fino al 40%. Anch’esso ha una storia antica ed entra di diritto nella “nobiltà” dei vitigni dell’Etna. È di grande tempra, con personalità e carattere, e le sue uve possono apportare grande complessità aromatica ai vini prodotti.
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Alberto Lupini