I vini di Tamburini, una tradizione toscana che continua

Alla guida dell'azienda di Gambassi Terme (Fi), giunta alla 5ª generazione, Emanuela Tamburini con il marito Michele Jermann. Insieme hanno presentato i loro vini a Milano al ristorante il Rigolo in zona Brera

29 novembre 2022 | 12:23
di Guido Gabaldi

In Italia, Gambassi Terme (Fi) non è un luogo storico del vino come Bolgheri o Barolo, ma dal punto di vista enoturistico qualche freccia al suo arco ce l’ha: è da sempre terra di transito e passaggio, sin dal tempo degli Etruschi, trovandosi sulla direttrice che conduce a Volterra (Pi). È rimasta tale anche durante il periodo romano, come punto di snodo della via Clodia, che collegava le città di Siena e Lucca. La località deve il suo nome alle Terme che in questa zona sgorgano sin dall’antichità. Tutt’oggi godibili, gli stabilimenti termali sono immersi nel verde del Parco Benestare. E quindi il turista e l’enoviaggiatore che si siano spinti fino a Gambassi saranno stati sicuramente attratti dall’offerta classica, quella proprio da guida cartacea e patinata: il territorio, infatti, è quello delle dolci colline toscane, con l'alternanza di boschi e campi coltivati, punteggiato da antichi borghi dal notevole significato urbanistico e storico. In questo quadro non può mancare il vino, come testimonia la presenza a Milano, al ristorante il Rigolo in zona Brera, dell’azienda agricola Tamburini.


Azienda giunta alla quinta generazione

La famiglia ha voluto presentare sé stessa e i suoi prodotti qui in Lombardia per far luce sulla storia di cinque generazioni, legate da un amore profondo per il territorio di cui fa parte Gambassi, ossia l’Empolese Valdelsa. I 50 ettari di proprietà comprendono scenografici vigneti nel Chianti e nell’area di Montalcino, oltre a oliveti e splendide aree boschive. Alla guida dell’azienda troviamo oggi una figura femminile, Emanuela Tamburini, assieme al marito Michele Jermann; una timoniera che non manca mai di presentarsi come colei che ha preso il timone dalle mani del nonno Italo e del babbo Mauro.


Il rosato TJ

Ma ereditare un patrimonio enologico non significa ingessarsi, evidentemente, e le intenzioni di Emanuela e Michele sono proprio quelle di muoversi all’interno di una tradizione consolidata per affermare un’identità unica e inconfondibile: la propria. Ne è segno evidente la produzione del “TJ”, il rosato di Tamburini le cui uve vengono raccolte a mano e rimangono a contatto con le bucce per circa 24 ore, permettendo così l’estrazione del colore e delle componenti aromatiche più delicate senza intaccare la freschezza e l’aromaticità del Sangiovese. Di colore rosa, quasi sfoglia di cipolla, al naso presenta profumi di fragola, viola e buccia d’agrumi. Al palato prevale la freschezza sulla sapidità, ma l’armonia complessiva non ne soffre: il “Rigolo” ce lo ha fatto sperimentare come degno compare di una spuma di fave deposta su un cuscino di cavolo nero, mandarino e castagne della Garfagnana.


Il classico Italo e il Moraccio

Oltre al classico ed intenso “Italo”, un Chianti dedicato alla memoria del nonno, abbiamo gradito particolarmente il “Moraccio”, Sangiovese con un 10% di Merlot, prodotto in piccole quantità e solo nelle annate migliori. I profumi ricordano la mora e la visciola con un accenno di fumo nel finale; i tannini sono ben presenti ma per nulla aggressivi, mentre la persistenza ha qualcosa di decisamente toscano, nell’accezione più nobile del termine.


Gli abbinamenti erano, rispettivamente, un risotto al fagiano confit con pecorino di Pienza e un ganascino al profumo di Moraccio, foie gras e purè di zucca: ingredienti territoriali e contaminazioni rispettose, come si vede, ad evitare ogni possibile noia e ripetizione pedissequa.


Immancabile Vin Santo: il “D’Incanto” 2012

Il dessert in pairing col Vin Santo non può essere una sorpresa, entro certi limiti, perché un po’ tutti gli appassionati hanno nella memoria i tratti distintivi del tipico ambasciatore toscano, offerto da secoli come gesto di amicizia, ospitalità e cortesia. E dunque il “D’Incanto” 2012 di Tamburini non lascia stupiti: ma fino a un certo punto, perché è talmente complesso il procedimento produttivo di un Vin Santo che non si dà mai nulla per scontato. Abbiamo comunque gradito il topazio leggero e luccicante in bottiglia, ci aspettavamo la complessità del profumo e la successione ben definita delle sfumature di gusto: frutta candita, miele, uva passa e caramello, e di certo ne dimentichiamo alcune. Le aspettative erano alte, e sono state soddisfatte.


Famiglia unita nel nome del vino e della origini

Col nonno Italo non era proprio possibile interloquire: ora come ora, si trova in un luogo più salubre di Milano. Babbo Mauro, invece, ha preferito rimanere a Gambassi Terme, a contemplare le sue dolci colline (e come dargli torto); ma potendo incontrare entrambi al “Rigolo”, in zona Brera, magari davanti a una bella padellata alla toscana, gli avremmo dato una stretta di mano rassicurante. E sì, perché con Emanuela e Michele a capo dell’azienda il tesoro della famiglia Tamburini non andrà disperso, e il lavoro degli antenati troverà la giusta valorizzazione.

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Alberto Lupini


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